Non ci si aspetta che
accada a quell’età. E allora il primo cruccio dei genitori sembra essere
quello di capire di chi è “la colpa”: la genetica? l’ereditarietà?
Il claim è
azzeccatissimo: non serve crucciarsi, tanto il perché non lo si trova.
Piuttosto, meglio concentrarsi sulla consapevolezza che anche quell’età può
accadere. E prenderla in tempo. Perché gli adolescenti sono quelli che vengono
curati peggio degli altri. E muoiono a parità di possibilità di guarigione più
che nelle altre età. Sono studi scientifici a sostenelo.
Esiste da qualche
mese e per la prima volta in Italia una Società medico scientifica per lo
studio e la cura dei tumori dell’età adolescenziale. Si chiama Siamo (www.progettosiamo.it) . E questo è il video alla campagna di prevenzione lanciata in questi giorni e che ha
come testimonial Jake La Furia dei Club Dogo.
“Ogni anno – spiega la
Siamo – in Italia si ammalano di tumore circa 800 adolescenti (15 – 19
anni) e tra 1000 e 2000 giovani adulti, secondo il limite superiore di età che
si vuole prendere in considerazione. I pazienti adolescenti arrivano alla
diagnosi e quindi alle cure con un ritardo diagnostico significativo rispetto
ai bambini. I motivi sono legati alla scarsa informazione dei ragazzi e delle
famiglie, alla paura di affrontare il sospetto di malattia, al ritardo
nell’invio allo specialista oncologo da parte del medico che visita il
paziente, alla mancanza di una rete efficace sul territorio nazionale. Il
ritardo diagnostico può avere come conseguenze la progressione della malattia
da una forma localizzata a una più avanzata o metastatica e un significativo
impatto sulle probabilità di guarigione. È fondamentale quindi porre la massima
attenzione da parte di famiglie, medici e degli stessi ragazzi alla necessità
di una diagnosi precoce. È inoltre fondamentale considerare gli aspetti
psicologici nell’approccio alla malattia, ovvero il fatto che gli adolescenti
si trovano ad affrontare la diagnosi e le cure in un momento particolarmente
delicato della vita, della crescita e della costruzione della propria
identità”. E lospiega qui il dottor Andrea Ferrari dell’Istituto Nazionale dei tumori: