venerdì 16 aprile 2010
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Era stato l’uomo giusto nato nel Paese giusto. L’Italia del dopoguerra aveva bisogno di scrollarsi di dosso la tristezza e a riuscirci ci pensava anche quel giovanottone lungo lungo, dalla faccia tutt’altro che italiana, semmai britannica, proprio come il suo humour giocato sul paradosso raffinato e sull’ironia, digeribile da chi ne è bersaglio perché è innanzitutto autoironia.Era diventato l’uomo giusto nella televisione giusta, nel 1954, proponendo con Ugo Tognazzi, nel varietà "Un due tre", una delle coppie meglio assortite: due protagonisti, nessun comprimario. Fece il bis accanto a Sandra Mondaini, coppia giusta nella televisione giusta, ancora due protagonisti alla pari senza gregari, a dare un tocco di intelligente leggerezza al mitico "Studio Uno". Ma quella televisione, la vetero-tv, non era ancora il centro dell’universo. Sapeva di non essere la realtà ma di doversi limitare a rappresentarla, in appena alcuni suoi aspetti, comunque in modo incompleto. In quella tv, Raimondo Vianello appariva ammiccando e scompariva sorridendo. Intanto girava una cinquantina di film, attore giusto nel cinema giusto, quando le città pullulavano di sale cinematografiche, l’Italia produceva film a palate e gli italiani andavano a vederli.Era un’Italia non priva di difetti, meschinità e mediocrità; ma forse ne era più consapevole di oggi. E per sorriderne bastava accennarli. La battuta, per Vianello, doveva solleticare il cervello, non tramortire come un cazzotto al ventre. Mai un greve doppio senso, mai una volgarità, mai una parolaccia, mai una di quelle facili scorciatoie alla risata a cui ricorrono i comici bolliti, privi di idee, abbandonati (forse mai visitati) dal genio.Poi fu l’uomo giusto nella televisione sbagliata. La neo-tv, la tv commerciale, non aveva né tempo né denaro per i prodotti raffinati, di qualità; mirava al sodo, alla quantità, ossia agli ascolti e al denaro. Eppure Raimondo resisteva, con Sandra, un po’ come certi brand palesemente fuori moda che ancora compaiono sugli scaffali dei supermercati, immutabili eppure efficaci. Perché? Perché dotati di una verità interiore. "Casa Vianello" e i suoi seguiti erano un modo bonario, non oleografico né distruttivo, di rappresentare la famiglia facendone emergere tic e nevrosi.Fu, infine, l’ultimo uomo giusto nella tv più sbagliata possibile quando finì a condurre "Pressing", la serata di calcio della domenica di Mediaset. Nessuno ci toglie dalla testa che toccò a lui perché nessun altro aveva voglia di giocare una partita ritenuta persa in partenza contro il moloch Rai della "Domenica sportiva". Raimondo l’eretico trattava il calcio come una cosa normale, di cui sorridere, togliendogli con ostinata tenacia ogni alone di enfasi e retorica. Un autentico godimento, ma per i palati fini; non certo per i telespettatori infettati dal virus dei talk-show rissosi, delle radio blateranti, dei processi e processoni fatti di nulla. Fu spazzato via dallo tsunami di denaro che la tv satellitare riversò sul calcio, finalmente divenuto un prodotto da spremere fino all’ultima stilla di sugo. (Simile a lui, felice anomalia, è rimasto Gene Gnocchi).Nella tv giusta o sbagliata, nell’Italia giusta o sbagliata, a morire ieri è stato comunque l’uomo giusto. Siamo certi che ieri, leggendo da Lassù i ricordi commossi, fatti a fotocopia, di personaggi televisivi "sbagliati", dei maestri dell’enfasi e della volgarità, non sia stato capace di prendersela. Li avrà liquidati con una battuta; troppo sottile perché quelli là sotto, giù in basso, possano comprenderla.
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