Il direttore d'orchestra Michele Gamba al Teatro alla Scala di Milano - Vito Lorusso-Teatro alla Scala
Ne ha fatta di strada il bambino di Milano che sul pianoforte di famiglia ricalcava i jingle della tv. «Sì, tutto è cominciato con le colonne sonore della pubblicità, come quella della Pasta Barilla, che suonavo in casa», racconta Michele Gamba. Da domani sabato 15 marzo sarà sul podio del Teatro alla Scala per Tosca di Giacomo Puccini. È l’ottavo titolo che dirige al Piermarini. Dieci le repliche fino al 4 aprile: tutte esaurite. Ma il cartellone del teatro lo vedrà anche seduto al pianoforte il 30 marzo in uno dei matinée domenicali con i professori d’orchestra della Scala: in programma un doppio quartetto per pianoforte e archi, il primo di Fauré e il secondo di Schumann. «Concerto alle 11; Tosca alla 20», scherza Gamba. Bacchetta e tastiera, come Daniel Barenboim di cui il maestro 41enne è stato assistente a Berlino. «Non diciamo certi nomi invano…», sorride.
Luca Salsi nel primo atto di "Tosca" durante le prove al Teatro alla Scala di Milano - Brescia e Amisano-Teatro alla Scala
Ogni volta è una notizia quando un milanese - per di più uscito dal Conservatorio “Verdi” - dirige alla Scala. Quasi a voler sfatare l’adagio evangelico che “nessuno è profeta in patria”. «La Scala è il teatro della città ed è un po’ il teatro di tutti gli italiani. Mi sento sempre inadeguato, ma al tempo stesso felice, incredulo e grato». Sui leggii ci sarà l’edizione del 1900 di Tosca, quella della prima assoluta a Roma con un centinaio di battute in più rispetto alla versione definitiva. E quella documentata nell’edizione critica Ricordi proposta da Riccardo Chailly il 7 dicembre 2019, intorno a cui è stato costruito lo spettacolo di Davide Livermore per l’inaugurazione della stagione lirica. Un allestimento cinematografico targato Sant’Ambrogio che torna adesso con un doppio cast: il primo con Chiara Isotton, soprano cresciuto all’Accademia scaligera, nei panni della protagonista, Francesco Meli in Cavaradossi e Luca Salsi in Scarpia (questi ultimi già alla prima del 2019 e prossime star della “trilogia popolare” verdiana a Piacenza); il secondo con Elena Stikhina, Fabio Sartori e Amartuvshin Enkhbat. Una Tosca che unirà Milano e Roma, spiega Gamba. «Questa è una produzione che mostra l’eccellenza scaligera, e quindi milanese - afferma -. Ma, come direbbe Debussy, “i suoni e i profumi che vagano nell’aria della sera” e quindi nella partitura sono quelli di Roma. Si può quasi toccare la Città eterna, con i suoi colori, le sue atmosfere, i suoi caratteri. Il melodramma di Puccini diventa una sorta di madeleine che te li fa assaporare. Vale per chi lo ascolta, per chi lo suona, per chi lo canta, per chi lo dirige».
Maestro, ognuno ha in mente la propria Tosca. La sua come sarà?
«Di fronte a questa partitura il concetto di interpretazione è ipertrofico. Intendo restare il più aderente possibile a quanto scritto da Puccini. Fedeltà significa rispetto: è un dovere. Pensiamo, ad esempio, al primo atto dove è centrale l’elemento della clandestinità che marca il legame fra Angelotti e Cavaradossi. Puccini annota: “Misterioso”. L’approccio dovrebbe essere quello del sussurro. C’è una meravigliosa incisione del 1956 diretta da Gianandrea Gavazzeni, eseguita proprio dall’orchestra della Scala e registrata dal vivo, che considero l’unica dove è possibile ascoltare il sussurro».
Carlo Bosi, Francesco Meli e Luca Salsi nel secondo atto di "Tosca" durante le prove al Teatro alla Scala di Milano - Brescia e Amisano-Teatro alla Scala
Timori?
«Assolutamente. Posso rivelare che la straordinaria orchestra della Scala canta l’opera con me e con gli interpreti. Ecco perché ciò che conta è non deviare».
Che cosa dicono oggi i tre atti di Puccini?
«Vorrei che si riflettesse sulle fragilità di Tosca. È una donna forte, anche se gelosa o con una religiosità sbrigativa. Ma rischia di subire uno stupro e poi con un coltello, grazie un lampo di genio che definirei luciferino, uccide il suo aguzzino. Ogni volta penso al suo stato d’animo in quel momento: forse devastato, sicuramente scosso. In un frangente storico in cui la retorica della durezza e della forza è preponderante, guardo a lei che sembra quasi ci chieda aiuto».
È reduce dal successo di Giovanna d’Arco che ha diretto al Regio di Parma. Verdi e Puccini sono gli autori che la “chiamano” sul podio?
«Mettiamola così: sono due eponimi dell’italianità e noi siamo loro figli. Considero Verdi viscerale, un genio che fa ribollire il sangue. Puccini è il compositore della modernità e dell’italianità che si apre al mondo».
Chiara Isotton e Francesco Meli nel secondo atto di "Tosca" durante le prove al Teatro alla Scala di Milano - Brescia e Amisano-Teatro alla Scala
Lei è anche appassionato di musica contemporanea.
«Certo, è fonte di una curiosità perenne. Con un’avvertenza, però: dirigendo lavori nuovi, non è necessariamente detto che ti capitino sempre fra le mani dei gioielli. Anche se alcuni li ho trovati stupendi. Accade in ogni epoca: non tutto quello che è stato composto ai tempi di Mozart era eccelso. Oggi la musica contemporanea non ha più stile dominante: c’è chi scrive musica tonale con ottime ragioni per farlo; chi sperimenta forme insolite o si affida a tecniche complesse. Mi piace pensare di partecipare a questa ricerca e a questo fluire della storia della musica».
Ad aprile sarà a Stoccarda per Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny (“Ascesa e caduta della città di Mahagonny”), opera nata dalla collaborazione fra Bertolt Brecht e Kurt Weill. Un ritorno nella Germania dove ha trascorso diversi anni?
«Capita di rado che a un italiano venga affidato un titolo così tedesco. Lo considero grande teatro, concepito in una nazione dove Hitler era in ascesa e già si intravedeva l’abisso. Poi sulla scena c’è un pianoforte che definirei “concertante” e che io stesso suonerò».
Maestro, più direttore o più pianista?
«Sono esperienze che si compenetrano. Quando suoni, dopo aver avuto in mano una bacchetta, hai una percezione più ampia delle composizioni. Quando dirigi, una volta essere stato strumentista, hai un’impostazione di forte coerenza».
Musica sinfonica oppure opera?
«Vorrei eseguire più musica sinfonica. Comunque la musica contemporanea mi permette di percorrere anche questa strada. I giovani direttori italiani fanno più fatica a trovare spazio nel repertorio concertistico e vengono preferiti per la lirica. Aggiungo che fra le nuove generazioni il livello si è molto alzato: posso testimoniare una preparazione direttoriale e musicale di assoluta qualità. Quindi vedo un futuro roseo per le bacchette italiane».