Purgatorio, Canto XXXIII: Dante con Stazio, Matilda e Beatrice presso l'Eunoe in una miniatura - Archivio
Non sono già perduti, come i dannati dell’Inferno. E non sono già salvi, come i beati del Paradiso. I personaggi che Dante incontra mentre risale lungo le pendici del Purgatorio sono quelli che più ci assomigliano. Per imperfezione conclamata e per ostinato desiderio di perfezione, anzitutto, che è come dire per umanissima capacità di rimanere sospesi tra nostalgia della terra e speranza del cielo. Lo spiega bene Bianca Garavelli nelle pagine che introducono il suo commento alla seconda cantica della Commedia, da poco uscito nella Biblioteca Universale Rizzoli ( Purgatorio, pagine 470, euro 11,00: il volume sarà presentato il 27 aprile alle ore 18 in un evento online organizzato dal Collegio Castiglioni Brugnatelli di Pavia, qui le iscrizioni). Si tratta di una proposta economica e allo stesso tempo prestigiosa, perché Garavelli è una dantista di comprovato spessore e di invidiabile eclettismo. Già curatrice negli anni Novanta di un’importante edizione del poema avallata da Maria Corti, da allora non ha mai smesso di occuparsi di Dante in modo tanto assiduo quanto originale.
Saggi, traduzioni, letture pubbliche, variazioni narrative come il fortunato romanzo Le terzine perdute di Dante, nel quale l’ipotesi di un incontro parigino tra il poeta e la mistica Marguerite Porete viene messo al servizio di un’interpretazione in chiave marcatamente femminile, con le misteriose “Beatrici” che rendono ragione del ruolo salvifico assegnato a Beatrice. Dopo la rapida apparizione nel II canto dell’Inferno, la donna amata si impone come presenza stabile a partire dal XXX del Purgatorio, subentrando a Virgilio nel ruolo di guida oltremondana. Ma sarebbe semmai più corretto affermare che l’autore dell’Eneide prepara l’avvento di Beatrice, come Garavelli lascia intendere nel momento in cui insiste sullo «smarrimento» che il Virgilio dantesco tradisce durante l’esplorazione del Purgatorio. Non solo si muove in un territorio che lui stesso visita per la prima volta, ma all’improvviso viene raggiunto dalla consapevolezza che sulle balze della montagna fatidica, «tra tanti che se ne andranno in Cielo, l’unico spirito che non potrà vedere Dio è lui».
A risarcire Virgilio provvede, non casualmente, un altro poeta dell’antichità, Stazio, che nel XXII canto riconosce il carattere profetico della celebre quarta egloga delle Bucoliche. Il Purgatorio è la cantica nella quale più nutrito è il numero degli artisti, dal cantore Casella al miniaturista Oderisi da Gubbio, dal trovatore Arnaut Daniel al bolognese Guido Guinizzelli, capostipite ideale dello Stilnovismo. L’intreccio con la biografia personale di Dante è fittissimo, e non solo dal punto di vista delle rispondenze estetiche. Come osserva la stessa Garavelli, è proprio nel Purgatorio che si accentua la dimensione esperienziale e performativa del viaggio nell’aldilà. Le sette P tracciate dall’angelo sulla fronte del poeta e gradualmente dissolte nel corso dell’ascesa sono il segno del suo coinvolgimento in un destino comune. «Adesso – si sottolinea nell’introduzione – è veramente partecipe, fino in fondo, del cammino in salita che le anime penitenti stanno compiendo. Adesso la fratellanza è totale: Dante è uno di loro». Ed è, di conseguenza, uno di noi.
Nel Purgatorio la lontananza con i lettori si riduce drasticamente e dolcemente, com’è giusto che accada nel luogo che fa da soglia tra realtà materiale e verità immateriale, tra visibile e invisibile. «Se l’Infernoè la cantica del senso dell’udito, qui trionfa la vista», ribadisce Garavelli. Le leggi di natura restano valide, almeno in parte (è la specificità del cosiddetto Antipurgatorio), e le stesse anime purganti sentono la mancanza del corpo dal quale si sono separate. Ma a sovrintendere al percorso sono già gli angeli e il punto d’approdo è rappresentato dal giardino dell’Eden, dove Matelda attende e Beatrice, finalmente, si rivela.