Aleggia un po’ di foschia, ma la vista è comunque impagabile. Dalle finestre della casa di Davide Van de Sfroos il lago di Como appare in tutta la sua maestosa armonia.
Il tuo rapporto con la terra di origine è fortissimo. Il lago e le montagne si affacciano in molte delle tue canzoni…«Ho cominciato con punk e heavy metal, ma poi mi sono accorto che sarei stato credibile solo se avessi risposto al richiamo delle radici. Grazie alle mie canzoni, tanti hanno scoperto quanto ricco e immediato sia il dialetto
laghée. Un tesoro da salvaguardare».
In molte delle tue canzoni vi sono echi religiosi. Come definiresti il tuo rapporto con Dio? «Fin da piccolo, giocando, incappavo ovunque in corone del rosario, santini, madonne fluorescenti, eccetera. Tutti, in famiglia, facevano abitualmente ricorso a Dio. Io stesso non ricordo un giorno della mia vita in cui non mi sia confrontato con l’Altrove, perfino nei giorni più difficili. Col tempo mi sono appassionato alla spiritualità degli uomini. Non mi sono accontentato di indagare la religione cattolica, che peraltro praticavo e pratico. Non posso dire di essere il più assiduo alle messe, ma, insieme con mia moglie, stiamo allevando tre figli secondo la fede cattolica. Nel mio personale "altare", tuttavia, non ho problemi a mettere anche un Buddha o una divinità induista, perché credo che lo slancio verso Dio cambi a seconda del luogo e della cultura cui una persona appartiene».
Sento odore di sincretismo religioso…«Non è così: questo "intreccio" non mi ha confuso, ma mi ha aiutato a "pulire" il mio credo. Dal punto di vista spirituale, non c’è mai stata in me un’autentica "esplosione", ma ogni giorno la miccia brucia. L’importante per me non è stato tanto il trovare (e ho trovato), quanto piuttosto il cadere, attraversare il disagio – ho sofferto di depressione, non mi vergogno a dirlo – per poi riprendere la strada. Senza smettere di cercare».
La sensazione è, però, che oggi il tema-Dio sia una questione anacronistica. A tanti bastano la tecnica e la scienza, come se l’uomo avesse tutte le risposte in tasca…«L’uomo di oggi vive di password, ma non si chiede quale sia quella di Dio. Anzi: il fatto che a Dio non si acceda con password lo rende inaccessibile a quanti preferiscono la strada più veloce. Occorre, invece, capire che il fatto di esistere è già un miracolo. Rischiamo, frettolosi come siamo, di essere come pesci sul fondo del lago che discutono se esista o meno l’acqua, senza accorgersene che vi sono immersi. C’è bisogno di fermarsi, anzi di trovare il coraggio per fare un passo indietro».
Perché si fa così fatica a credere in Dio?«Alcuni sono "infettati" da una deriva scientista; altri sono cresciuti in un ambiente segnato da rabbia e desolazione, dove l’idea di Dio è lontanissima. Alcuni, infine, sono vittime della solitudine e avrebbero bisogno di guide spirituali all’altezza. È difficile, poi, parlare di fede ai ragazzi immersi nella cultura attuale: se pensassi di togliere di mano un videogioco a mio figlio e gli mostrassi i soldatini, ti immagini la sua faccia?».
C’è un problema di comunicazione della fede?«Senza dubbio. Per fortuna esistono preti capaci di entrare in sintonia con la gente e di misurarsi con la disperazione dilagante. Penso al mio amico don Marco Tenderini (un sacerdote ambrosiano, che ha lavorato con i giovani in Brianza, poi in carcere e ora è attivo in Caritas,
ndr): lui e altri come lui li chiamo i "commandos di Dio". E poi oggi abbiamo papa Francesco…».
Una sorpresa per tutti, credenti e no.Ha cambiato radicalmente il rapporto tra Papa e mondo. Bergoglio va oltre Giovanni XXIII: beve il mate, chiama le persone a casa… È come se il generale, invece che stare al sicuro sull’elicottero, si fosse paracadutato fra le truppe nella foresta».
La gente oggi ha bisogno di testimoni?«Sì, cerca credenti capaci di mostrare che non stanno barando. Nessuno mai attaccherà un prete che vive in prima linea, che sta al capezzale dei malati, che va in Africa a servizio degli ultimi. Nemmeno un ateo».
Cosa dice a te un Papa come Francesco, che ha scelto la misericordia come cifra del suo magistero?«Siamo di fronte a un
blade runner, uno che cammina sul filo e sta cambiando per sempre le cose. Papa Wojtyla ha fatto dei gesti che hanno segnato la storia: pensiamo alle richieste di perdono per i peccati della Chiesa lungo i secoli. In un momento in cui il fanatismo sta "inscatolando" la religione, papa Francesco afferma che la violenza non è la strada e che il cuore del cristianesimo non è un insieme di regole fredde. È come se, con un lanciafiamme, volesse togliere di mezzo giudizi e pregiudizi sulle persone. Perché Dio non smette mai di amare. Se anche hai fatto un gesto che riconosci come peccato, il sole non smette di bruciare sulla tua pelle, il vento continua a scompigliarti i capelli… Non c’è peccato che possa costringere nessuno a marcire per l’intera esistenza».
Il Papa ha persino indetto un Giubileo sulla misericordia. «Lo vedo come una Expo spirituale, in cui tutti ci "esponiamo" a Dio per dire: la luce ci arriva ancora e tutti ne possiamo beneficiare».
Il 18 maggio canterai all’ombra della Madonnina: quale canzone ascolteremo?«Nel 2014 la richiesta della Diocesi fu una piacevole sorpresa, stavolta il "bis" si deve al fatto che lo stesso cardinale Scola ha espresso il desiderio che eseguissi la mia "Ave Maria", dedicata alla Madonna che guarda a tutti noi senza distinzioni. È una sensazione bellissima per uno come me, che, pur dentro il fango della propria fragilità, viene chiamato a produrre qualcosa di suo con quella medesima argilla».
È partito l’Expo, un evento mondiale sul tema del cibo. «Quando mi sono sposato, il parroco mi ha detto "Abbiate rispetto della tavola perché lì è il momento di aggregazione della giornata". Già, perché a tavola si nutre non solo il corpo, ma pure la relazione con l’altro. Oggi il cibo rivela le contraddizioni della nostra epoca. Da un lato un Nord del mondo che vive di eccessi e ha il problema delle diete; viviamo nell’epoca dell’addizione a tutti i costi e il segno "più" si sta trasformando in una croce. Dall’altra parte c’è un Sud ancora attanagliato dalla fame. Dobbiamo trovare il modo, anche grazie ad Expo, di far muovere le coscienze attorno a queste enormi questioni».
C’è un tuo luogo dell’anima?«Il santuario della Madonna del Soccorso di Ossuccio, qui sul lago: un Sacro monte in piccolo».
Hai un santo preferito?«San Pietro. Un impasto di debolezze, eccessi e coraggio: un po’ come Yanez per Sandokan. Per questo ho chiamato Pietro anche il mio primo figlio».