Lo scrittore francese Marcel Proust - Effigie
In un film degli anni Ottanta, Rita, Rita, Rita, Michael Caine impersona un disilluso professore di letteratura che si ritrova come allieva una giovane parrucchiera iscritta ai corsi dell’“università aperta”. La ragazza è una lettrice abituale di romanzi rosa, ma strada facendo scopre di avere un talento naturale per i grandi autori. Non sempre, però, le sue giornate disordinate le permettono di studiare come si deve e così va a finire che, dovendo consegnare una serie di note per la messa in scena del Peer Gynt, cerca di cavarsela con uno sbrigativo «Datelo alla radio ». Espediente a suo modo geniale, come intuisce l’insegnante, perché il dramma di Ibsen è talmente infarcito di simboli e di invenzioni da renderne pressoché impossibile la rappresentazione. Il ragionamento vale a maggior ragione per quello che, nella tradizione novecentesca, merita la qualifica di romanzo dei romanzi.
Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, che altro? Quattromila pagine fitte di personaggi e situazioni che sembrano recalcitrare davanti all’ipotesi di assumere una forma diversa da quella decisa dal loro autore. Ne sanno qualcosa i registi che, nel corso del tempo, hanno cercato di trarre un film dal capolavoro di Proust, talvolta senza realizzare il progetto (ma il lavoro preparatorio compiuto da Luchino Visconti sulla base della sceneggiatura di Suso Cecchi d’Amico è un’epopea a sé, e un’epopea perfettamente proustiana), in altri casi portando nelle sale trasposizioni cinematografiche più o meno deludenti (una pessima fama perseguita Un amore di Swann diretto nel 1984 da Volker Schlöndorff, che pure aveva ben meritato con la sua versione del Tamburo di latta di Grass, mentre decisamente più riuscito è Il tempo ritrovato di Raúl Ruiz, risalente al 1999). D’accordo, non si può mai dire, magari in questo istante nelle centrali delle serie tv è allo studio un Proust suddiviso in sette stagioni anziché in sette volumi. Ora come ora, però, quel «datelo alla radio» rimane la soluzione più convincente, almeno quanto alla sostanza dell’operazione, che letteralmente consiste nel prestare ascolto alle parole della Recherche.
I motivi sono molti e il principale lo dichiara, scherzosamente ma non troppo, la scrittrice Ilaria Gaspari nella sua elegante e appassionata introduzione all’audiolibro con il quale l’opera di Proust entra nel catalogo di Emons. Sette le uscite previste, appunto, con la traduzione di Giovanni Raboni affidata alla voce di sette interpreti differenti per la regia complessiva di Flavia Gentili. Si comincia con Dalla parte di Swann letto da Anna Bonaiuto (da oggi i due cd sono disponibili al prezzo di euro 16,90, il download digitale a euro 9,54). Per Gaspari, dunque, l’ascolto fa piazza pulita della più ricorrente tra le numerose scuse alle quali si ricorrre per evitare di affrontare l’impresa. Libro troppo lungo, ci vorrebbe troppo tempo e noi, per l’appunto, non abbiamo tempo da perdere. Difficoltà indubbia, se si tratta di tenere gli occhi sulla pagina, ma agilmente superabile grazie all’audiolibro. Che tra l’altro, com’è noto, anche nel nostro Paese rappresenta ormai una delle declinazioni più interessanti e diffuse del libro digitale.
Oltre a questo ragionevole e coinvolgente consiglio (di sicuro i proustiani impenitenti approfitteranno dell’occasione per fare l’ennesimo salto a Combray), i motivi per ascoltare Proust non mancano. Uno è che, per quanto consentiva la sua epoca, lo scrittore amava molto la tecnologia dell’ascolto. Nel 1911, quando il cantiere della Recherche era attivo da un paio di anni, si era abbonato al “teatrofono”, un servizio che permetteva di seguire dram- mi, commedie e concerti attraverso il telefono, senza dover uscire di casa. Eppure, a differenza di altri autori della sua generazione, primo fra tutti James Joyce, Proust (nato nel 1871, morì nel 1922) non ci lasciato alcuna traccia della propria voce. Le fotografie abbondano, com’è noto, molto si discute se il gentiluomo in soprabito grigio che appare per qualche istante in un frammento ripresa cinematografica del 1904 sia veramente l’inafferrabile Marcel, ma le registrazioni sonore mancano del tutto.
È un altro dei paradossi della Recherche, forse non meno rivelatore di quello finemente individuato da Ilaria Gaspari, per la quale il “tempo perduto” richiesto al lettore del romanzo viene poi restituito in termini di consapevolezza esistenziale. Non va diversamente con la voce. Di questo scrittore che per noi rimane afono come tanti giganti che lo hanno preceduto (ma ci pensate che cosa sarebbe poter sentire la voce di Shakespeare o di Cervantes?), in fondo non conosciamo altro che la voce, che è l’inimitabile intonazione che il narratore assume fin dalle prime righe, celeberrime, dedicate al rito controverso dell’addormentarsi. Conosciamo le voci dei suoi personaggi, non la sua. Da questo punto di vista, al di là di ogni altra considerazione (per i proustiani il dibattito sulla qualità della traduzioni è secondo solo a quello sulle sottigliezze dell’originale), risulta più che opportuna la scelta di dare voce alla versione di Raboni, che già sulla carta esprimeva intenzionalmente una sua dimensione di oralità o, meglio, di immediatezza. In particolare, nella resa del conclusivo Tempo ritrovato, Raboni aveva cercato di mimare la velocità di stesura di Proust, ormai incalzato dalla morte ma determinato nel terminare il suo romanzo dei romanzi. Non fosse che per questa perseveranza, meriterebbe che gli si prestasse ascolto.