sabato 13 luglio 2013
Matteo Trentin (Omega Pharma-Quick Step) ha vinto in volata la 14esima tappa del 100esimo Tour de France, la Saint Pourcain sur Sioule-Lione di 191 chilometri. Erano tre anni che un italiano non vinceva al Tour.​ (Giuliano Traini)
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Tre anni senza vincere una tappa al Tour de France erano decisamente troppi per un Paese che ha contribuito ad alimentare la leggenda della “Grande Boucle”. Il digiuno lo ha interrotto un gregario, Matteo Trentin, il giovane compagno di camera di Cavendish. Alla seconda stagione da professionista e con 24 anni ancora da compiere il corridore che ha nell’anagrafe il nome della sua regione rompe il troppo lungo digiuno azzurro e scala per la prima volta il gradino più alto del podio. Lui che è abituato a gioire per le vittorie dei tanti campioni che si ritrova in squadra (la belga Omega Pharma) stavolta è rimasto incredulo a ricevere l’abbraccio dei compagni di squadra. E il più caloroso è stato proprio quello del campione inglese. Incredulo, Trentin, lo era ancora di più appena tagliato il traguardo, quando ha alzato le braccia al cielo poi ha appoggiato le mani alla testa, con lo stupore disegnato in volto, come a dire: “Cosa ho combinato?”. Increduli, invece, sono rimasti i tanti tifosi incollati davanti alla tv nel vedere Damiano Cunego annaspare nel tardivo e disperato tentativo di agganciarsi al treno in fuga. Il campione veronese, in pesante ritardo in classifica generale, era uno dei protagonisti più attesi di questa tappa di trasferimento. Una frazione dedicata alle fughe di giornata - si sapeva da tempo - riservata a quei corridori che cercano il grande colpo quando i big tirano il fiato e chiudono un occhio. Un finale vallonato che sembrava disegnato su misura per Cunego, invece, il vincitore di un Giro d’Italia e della maglia bianca in un Tour di diversi anni fa, non ha saputo fare altro che lanciarsi all’inseguimento quando era, ormai, troppo tardi per rientrare sui 18 fuggitivi. E, non pago dell’errore, si è ostinato a inseguire restando a lungo a “bagnomaria” fra la testa e il gruppo in compagnia di Hoogerland, subendo anche l’onta di venire atteso dal campione olandese dopo che aveva perso le sue ruote in salita. Sul traguardo di Lione Trentin ha riscattato il ciclismo italiano e i nostri corridori (pochi per la verità) presenti al Tour. Degli “invisibili” incapaci perfino di intrufolarsi in una delle tante fughe che hanno animato la corsa. Questa era la seconda volta che un italiano aveva il coraggio di andare all’attacco e la sorte lo ha premiato, a dispetto del calcolo delle probabilità. Trentin è diretto da Davide Bramati, un bergamasco fra i migliori direttori sportivi in circolazione, che non ha avuto timori a portarlo al Tour dopo il Giro, a dispetto di tante ansie e pregiudizi che gravano sul nostro ciclismo. Un movimento in affanno che no può permettersi di fare emigrare tanti bravi tecnici o, addirittura, di lasciarli a piedi come nel caso di Roberto Damiani. Ed è dal sorriso genuino di corridori come Trentin che il ciclismo azzurro deve ripartire. Dal loro coraggio, dall’umiltà e dalla capacità di sacrificarsi, felici di praticare lo sport che hanno sempre sognato. Interrotto il digiuno l’Italia si fa da parte. Da oggi, ricorrenza della presa della Bastiglia, si torna a fare sul serio con la tappa più lunga e con l’arrivo posto in cima al famigerato Mont Ventoux: 21 chilometri che non allentano mai la pendenza e danno respiro. Una lunga scalata fra le rocce infuocate senza nemmeno una pianta per trovare un momentaneo refrigerio. Su questa salita 46 anni fa morì l’inglese Tommy Simpson, collassato per la fatica. Su questa stessa strada un altro britannico, Chris Froome, scoprirà se ha la stoffa del fuoriclasse. I suoi avversari hanno capito che è vulnerabile e la maglia gialla non ce l’ha cucita addosso. Basta solo avere un po’ di fantasia e di coraggio per attaccarlo, come hanno fatto venerdì. Per vincere bisogna rischiare di perdere. Chi ha il carattere del campione non può accontentarsi di un piazzamento come una qualsiasi “scartina”. O fa saltare il banco o può anche sparire dalla classifica. Senza rimpianti.​
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