(Ansa)
Inneggiano a un dio della guerra, ma in realtà guardano al portafogli. «Le attività criminali e i profitti che queste generano corrompono i membri delle organizzazioni armate, spingendoli a deviare dagli obiettivi politici. I confini tra gli scopi bellici e i mezzi illegali usati per raggiungerli, tra terrorismo e criminalità organizzata, si fanno labili». Ma chi controlla questo giro d’affari? C’è un collegamento diretto con ciò che accaduto dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers? Mercanti di uomini. Il traffico di ostaggi e migranti che finanzia il jihadismo è il nuovo libro di Loretta Napoleoni (Rizzoli, pagine 360, euro 18,50) che racconta come le vite umane vengano “valutate” in termini economici e come alcune scellerate politiche occidentali alimentino tanto il mercato dei riscatti quanto il traffico dei clandestini. Più che il petrolio o le armi, il vero business, inesauribile e sempre in crescita, è quello delle vite a perdere. I predoni del deserto e i pirati del Corno d’Africa lo hanno capito, dirottando i propri affari e mantenendo intatte le strutture logistiche. «Dopo la droga, la tratta di esseri umani è ormai il maggiore racket criminale nel continente africano », sostiene Napoleoni che in mesi di ricerche ha raccolto un mucchio di prove corroborate da decine di testimonianze.
A cominciare dai nomi dei più potenti e sconosciuti Signori della guerra. Stando alle stime dell’Interpol, nel 2004 chi controllava le rotte dell’immigrazione in Costa d’Avorio guadagnava tra 50 e 100 milioni di dollari l’anno, e gli intermediari in Senegal ne incassavano oltre 100. «Oggi queste cifre si sono decuplicate – spiega Napoleoni – per coloro che gestiscono la tratta di migranti dal Medio Oriente e dall’Asia all’Europa. Nel 2015, solo in Libia questa attività ha fruttato circa 300 milioni di euro netti. Già nel 2004 il trasferimento di clandestini dall’Africa occidentale all’Europa lungo le rotte transahariane era assai più redditizio del rapimento di stranieri». Alla fine del 2012 la pirateria somala è andata in crisi. «Il settore dei trasporti marittimi e la comunità internazionale – ricorda la studiosa – erano passati a un contrattacco efficace».
I pirati e i loro investitori non hanno tardato «a rendersi conto che all’industria dei dirottamenti e dei sequestri restavano solo pochi anni di vita, perciò hanno cercato altre opportunità di business, complementari, per esempio la tratta di migranti verso lo Yemen. Come i loro omologhi nel Sahel e i jihadisti, sarebbero diventati ben presto mercanti di uomini, pronti ad arricchirsi grazie alla tragedia della diaspora somala ed estafricana ». Nella Libia balcanizzata, trafficanti di uomini e rapitori di occidentali sono due facce della stessa medaglia. Com’è accaduto con i due piemontesi dell’azienda “Con.I.Cos” rapiti e rilasciati nei mesi scorsi nel Sud del Paese, lungo il crocevia delle rotte migratorie. Per liberarli sarebbero stati pagati 4 milioni. Palazzo Chigi ha sempre smentito. Ma Napoleoni, che ha incrociato svariate fonti, non usa il condizionale: «In poco più di un mese i sequestratori si sono assicurati un ottimo guadagno. E dato che le trattative sono state condotte dai Fratelli Musulmani, molto vicini alla milizia libica dei rapitori, anche loro ci hanno guadagnato. Una parte del riscatto è finita poi nelle casse delle “agenzie” algerine, legate ai servizi segreti di quel Paese, una sorta di organizzazioni paramilitari che hanno agito a loro volta da intermediari.
La Farnesina ha gestito, come sempre, la logistica e i pagamenti». Ma in Mauritania e nel Mali l’impennata dei rapimenti ha determinato il crollo del turismo. Tutti potenziali ostaggi occidentali perduti. In questo scenario, i boss dei rapimenti hanno colto al volo «le nuove opportunità di guadagno generate dalla progressiva destabilizzazione politica del-l’Africa occidentale. All’alba del nuovo millennio, la principale risorsa della regione è diventata la tratta di migranti». Secondo Napoleoni, «non ci sono dubbi che la fortezza dell’Europa unita abbia cominciato a sgretolarsi dall’interno, sotto la pressione di milioni di sfollati, vittime di un’insensata politica estera che dura ormai dall’inizio del millennio».
L’unico ad aver compreso come stanno davvero le cose «è Papa Francesco – insiste Loretta Napoleoni –, il quale non solo denuncia la “terza guerra mondiale a pezzi”, ma ha strappato il velo d’ipocrisia intorno ad un sistema di potere globale che si autoalimenta con i conflitti». Ci guadagnano i produttori di armi, ci guadagnano le varie milizie che producono profughi su cui lucrano attraverso il contrabbando di esseri umani, ci guadagnano le grandi potenze che si reggono sull’instabilità. Finché questo scenario perdurerà, i mercanti di uomini «continueranno a fare soldi sulla pelle delle persone disperate fino alle porte delle fortezze occidentali, un business che seguiterà a finanziare il jihadismo dentro e fuori dalle nostre nuove mura».