giovedì 15 giugno 2017
Due tomi di quasi tremila pagine: è il «Meridiano» Mondadori che raccoglie gli scritti del priore di Barbiana
Don Lorenzo Milani con i suoi ragazzi, a Barbiana

Don Lorenzo Milani con i suoi ragazzi, a Barbiana

COMMENTA E CONDIVIDI

Due tomi di quasi tremila pagine. Ci vuol tempo per leggerli. Anche se, là, in cima alla libreria, pensavo che i testi di don Milani ci fossero quasi tutti da un bel po’ di tempo: sì, con varianti di troppo, scopro adesso dopo diligenti verifiche; senza le tantissime lettere inedite e gli articoli sparsi ora raccolti; e,certo, senza gli apparati che l’edizione critica di un’opera omnia può offrire e che di tanto tempo ha avuto bisogno. Era il giugno 1974, quando Alice Weiss Milani Comparetti scrisse una circolare «agli amici di don Lorenzo Milani» comunicando che si era costituito presso l’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna, un «Fondo Lorenzo Milani, destinato a raccogliere e custodire scritti, lettere, testimonianze». L’intento della madre del Priore era di evitarne la dispersione dell’«eredità» ritenuta «bene comune affidato a tutti». Da quella data in poi l’archivio ha ricevuto altri importanti fondi (Elena Milani, Pecorini, Pirelli Brambilla, Cartoni, Francuccio Gesualdi, ecc.), si è avviata la digitalizzazione delle carte depositate lì e altrove e, soprattutto è stato aperto un cantiere di ricerca che ha visto volumi importanti (come dimenticare le Lettere alla madre in edizione critica curata da Giuseppe Battelli nel 1990 per Marietti?) e hanno consentito ora il “Meridiano”, evitando «di lasciare a maggese il patrimonio di scrittura e di fede di don Lorenzo », come ribadito dal Consorzio don Lorenzo Milani costituitosi nel 2009. Un’impresa possibile anche grazie alla collaborazione tra l’“officina bolognese” e la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (un’“im- pronta gesuita” significativa, non dimenticando quella della Civiltà Cattolica nel ritiro dal commercio di Esperienze pastorali decretato dal Sant’Uffizio). Il “Meridiano” Mondadori di Tutte le opere (due tomi indivisibili, a cura di Federico Ruozzi, Anna Canfora, Valentina Oldano, Sergio Tanzarella, direzione e introduzione di Alberto Melloni, Mondadori, pagine CXXXVIII+2809, euro 140), torna sotto i riflettori alla vigilia del cinquantesimo della morte di don Milani, e dell’imminente pellegrinaggio di papa Francesco – il 20 giugno – a Barbiana, su quella tomba da lui comprata il giorno dopo il suo arrivo lassù. E ci torna giustamente perché, almeno ad oggi, punto di riferimento, senza disconoscere il lavoro di quanti nei decenni precedenti si sono confrontati sul prete conosciuto da vicino, il lottatore con la penna, il teorico della disobbedienza più obbediente. La completezza pur provvisoria (quante carte mancano all’appello? chi le possiede?) e l’annotazione meticolosa consentono di tornare sulle pagine, sino a poco fa ancor ufficialmente ritenute «inopportune» dall’ex Sant’Uffizio, di Esperienze Pastorali (dove l’autore non scrisse solo di fede e sacramenti, ma anche di case e lavoro); di scoprire le semisconosciute Lezioni di Catechismo o interventi raccolti sotto il titolo Altri scritti (il tutto curato da Federico Ruozzi); di rileggere le ancor discusse Lettere pubbliche, quella “a una professoressa”, quelle “ai cappellani” e “ai giudici ”(la prima curata da Valentina Oldano, le altre due da Sergio Tanzarella in particolare valorizzando inedite fonti processuali e indicando la carica anticipatrice di largamente confermate nel diritto internazionale). Di grande interesse il secondo tomo – curato da Anna Carfora e Tanzarella – dedicato all’ epistolario privato, 1.100 lettere, 123 inedite, ma, soprattutto, con il pregio della ristabilita fedeltà agli originali: superandosi trascrizioni errate, omissioni per motivi di privacy, tagli arbitrari o rielaborazioni di passaggi, recuperandosi così soprattutto l’integralità di contesti necessaria a capire frasi che stralciate, non sempre ne hanno favorito la vera comprensione. Insomma, un contributo di chiarificazione, il riconoscimento alla complessa scrittura milaniana e la riconoscenza a lui, non dimenticando che in queste pagine sono anche i profili dei suoi amici e allievi, e dei suoi detrattori e avversari a delinearsi, nella vicinanza o distanza alle sue istanze di rinnovamento segnate da una intransigenza spirituale. Certo, è soprattutto nelle lettere che si rilegge insieme alla sofferenza di don Lorenzo causata dalla Curia fiorentina, la sua capacità di trasformare un luogo di esilio come Barbiana in una terra benedetta da condividere con i senza parola e i senza diritti affidatigli, impegnandosi innanzitutto a farne dei cittadini pensanti. E lì emerge anche l’affetto donato e ricevuto da ragazzi e ragazze che già a San Donato di Calenzano , poi lassù sul Mugello, trovarono in lui un padre che volle «più bene» a loro «che a Dio», un maestro per tutta la vita da scorciatoie, false sicurezze, opportunismi, ipocrisie anche lessicali . Un prete convinto che l’amore di Dio potesse vedersi solo attraverso l’amore per gli uomini. Consapevole che col catechismo andava insegnata la lingua. Da qui un’idea di scuola traducibile in un fatto di amore puro, aconfessionale, dentro un disegno di utopia cristiana, comunicato al rialzo. Forse – come scrive Melloni chiudendo la sua singolare introduzione – la scuola a ristabilire l’eguaglianza era (è) solo una parabola: un modo di sentire il richiamo martellante delle due giustizie, quella presente e quella futura, così come il messianismo della sua scrittura sfociava (sfocia) in un messianismo diverso da quello di una radicata vulgata e del tutto antipolitico (come svela la famosa la lettera al giovane comunista Pipetta). Insomma, pagine che il lettore può accostare come una fonte di ispirazione, di formazione, civile e cristiana, seguendo il doppio filo annodato di parole e lingua, di testimonianza cristiana e del Vangelo, dentro una storia paradigmatica del Novecento.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI