giovedì 12 settembre 2024
Avvicinarsi alla Porta Santa significa muoversi avanti nello spazio e indietro nel tempo. Ma prima di arrivare è necessario superare un labirinto: interiore ma non meno reale
L’apertura della Porta Santa di San Pietro il 25 marzo 1983 per il Giubileo straordinario della redenzione

L’apertura della Porta Santa di San Pietro il 25 marzo 1983 per il Giubileo straordinario della redenzione - WikiCommons

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Un pellegrinaggio verso la Porta Santa tra strade, catacombe e basiliche, per ripercorrere i passi dei primi cristiani che vissero a Roma duemila anni fa. È il nuovo libro di Alessandro Sortino Il Dio nuovo. Storia dei primi cristiani che portarono Gesù a Roma in uscita per Rizzoli (pagine 276, euro 18,50) e del quale proponiamo un estratto. la storia di come una piccola comunità di uomini e di donne ha conquistato senza armi il cuore dell’impero più potente dell’antichità , ma anche un cammino alla ricerca del cristianesimo delle origini.

Alessandro Sortino

Alessandro Sortino - Stefania Casellato


Avvicinarsi alla Porta Santa significa muoversi avanti nello spazio e indietro nel tempo. Ma prima di arrivare è necessario superare un labirinto: interiore ma non meno reale. Quando arrivò a Roma, Pietro era solo un pescatore alla guida di pochi Che significato ha la sua cattedra ora che la Chiesa è tornata minoritaria? Sei di fronte alla basilica di San Pietro. Davanti a te la Porta Santa. Oltre quella porta c’è la tomba del pescatore. Stai facendo la fila per attraversarla. Puoi compiere questo gesto da turista o da curioso. Oppure puoi farlo da pellegrino. Se è così, fermati, non entrare. Dante Alighieri ambientò la sua Divina Commedia, secondo l’interpretazione prevalente, nella Settimana Santa del 1300, l’anno del primo giubileo della storia. Si ritrovò in una selva oscura a metà della sua vita. Ma capì subito che per uscirne non poteva salire sul colle, perché tre fiere gli sbarravano la strada. Prima di salire doveva inabissarsi e farsi pellegrino all’inferno. Io ti propongo lo stesso. Prima di entrare nella Porta Santa voltati, dai le spalle alla basilica. Di fronte a te c’è un labirinto, fatto di strade che partono nel presente, si perdono nel passato e sbucano nel futuro. Quel labirinto è la città di Roma. Per attraversare la Porta Santa da pellegrino, per venir fuori dalla selva oscura e accettare il perdono, devi prima perderti lì dentro. Quando a Betlemme nasce Gesù, a Roma governa Ottaviano Augusto, il primo imperatore della storia. Gesù definirà gli ultimi del mondo “beati”, promettendo loro che saranno “i primi”. Ottaviano definiva sé stesso “primo tra i pari”, il primo tra i primi che comandano. Sessantaquattro anni dopo, Nerone – l’ultimo imperatore della dinastia di Ottaviano – farà ammazzare nel suo circo privato ai piedi del colle Vaticano Simone detto Pietro, il primo degli apostoli di Gesù.

La civiltà in cui viviamo nasce da questo testacoda della storia fra ultimi e primi, attraverso una trama che si dipana tra due grandi capitali del mondo antico: Gerusalemme e Roma. Si tratta di una vicenda ricca di tradimenti, enigmi, assassinii, colpi di scena, perfetti ingredienti per una serie tv di successo. Io però ti offro di entrare in questa storia non come spettatore, ma in un’altra maniera: con un ruolo da testimone. Come? Accedendo a una narrazione in cui il protagonista del racconto e il narratore coincidono. Questa narrazione si chiama “pellegrinaggio”. Il pellegrino si mette in viaggio verso un luogo che un evento ha reso santo. Cammina in avanti nello spazio e indietro nel tempo. Il suo premio sta nell’ottenere un incontro che induca in lui un cambiamento: vuole rivivere nella propria esistenza quell’evento che ha cambiato la storia. Non a caso papa Francesco, indicendo il giubileo del 2025, ha scelto questo motto: “Pellegrini di speranza”. Anche questo libro che stai per leggere dunque è un pellegrinaggio, cioè un racconto fatto camminando. Viaggeremo in direzione del sepolcro degli apostoli, sovrapponendo i nostri passi a quelli dei pellegrini che a milioni hanno compiuto nei secoli lo stesso percorso. Passeremo anche noi attraverso la Porta Santa delle basiliche dedicate a san Pietro e san Paolo, per scoprire se insieme a quelle ossa, nelle loro tombe, la speranza è piantata o è seppellita. Pietro e Paolo. Per cominciare tolgo loro l’aureola. Se al tempo dell’impero romano ci fossero stati i giornali, questi due non sarebbero mai finiti in prima pagina: erano provinciali emigrati, spiantati e marginali, privi di mezzi propri, di religione ebraica ma considerati periferici pure dagli stessi ebrei. Uno, Pietro, in origine faceva il pescatore; l’altro, Paolo, il fabbricante di tende. Accanto a loro, le persone comuni che ne hanno ascoltato i racconti e si sono fatte battezzare nel nome di Cristo tramandando fino a noi le loro testimonianze e i loro gesti: maschi e femmine, patrizi e plebei, romani e stranieri, schiavi e uomini liberi, commercianti e imprenditori, politici e magistrati. Persone che si frequentavano, si riunivano e si sentivano parte della stessa comunità, a prescindere dal ceto sociale o dall’etnia di provenienza. Il cristianesimo dei primissimi tempi era così.

La Chiesa dei primi cristiani è passata attraverso una serie incredibile di sconfitte e fallimenti, e la sua missione è stata portata avanti da persone che non sapevano affatto ciò che stavano facendo e l’hanno scoperto via via, sorprese a loro volta dagli eventi di cui erano protagoniste. Eppure pensaci: tutte le autorità civili e religiose che governavano al tempo degli imperatori – cioè dal primo al quarto secolo dopo Cristo – sono state spazzate via. Da allora l’unica autorità ad aver resistito, l’unica figura superstite del tempo dei romani, è quella del vescovo di Roma. Di colui, cioè, che viene eletto “successore di Pietro”, erede del primo tra coloro che dalla Giudea il messia inviò nel mondo perché lo convertisse in suo nome. La domanda è questa: il suo trono, la cattedra del pescatore Pietro, è un relitto della storia, qualcosa che emerge dalla polvere del tempo come un antico reperto e che alla polvere tornerà come tutto il resto? Oppure è il segno spirituale e materiale di una realtà che abita sì il tempo, ma nutrita da radici che pescano la vita al di fuori di esso? E noi? Davvero crediamo che lo sia? La stessa Chiesa ci crede? Crede davvero di non essere in pericolo? Di non essere sul punto di estinguersi? Una comunità di persone chiamate ad abrogare il sacrificio su cui si regge il mondo, ma che questa cosa non la capiscono mai fino in fondo e a ogni generazione devono riscoprirla daccapo. Questa era la Chiesa di allora. Questa sta tornando a essere la Chiesa di oggi, via via che il mondo la spoglia di quel potere e di quella ricchezza che proprio l’impero romano le aveva attribuito, dopo averla perseguitata. Oggi, come nel primo secolo, si trova a essere minoritaria, diffamata, insultata e tradita dai suoi stessi membri, eppure in pellegrinaggio verso la tomba dei suoi fondatori, per ritrovare la speranza che loro hanno testimoniato. Per questo è interessante capire come tutto è cominciato. In quel passato c’è il nostro futuro. Anche se tornassimo in dodici, non sarebbe la fine.

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