venerdì 24 settembre 2021
Concluso a Firenze il restauro della Pietà di Michelangelo conservata al Museo dell'Opera del Duomo, non finita dal Buonarroti che vi lavorò tra il 1547 e il 1555
La Pietà Bandini dopo il restauro

La Pietà Bandini dopo il restauro - courtesy Opera di Santa Maria del Fiore, foto di Claudio Giovannini

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L’Opera di Santa Maria del Fiore sta proponendo quest’anno incontri ravvicinati sempre più interessanti. Dapprima con i mosaici del Battistero di San Giovanni, poi con il Dante ritratto da Domenico di Michelino per il Duomo di Firenze e ora con la Pietà di Michelangelo. Sfruttando ogni volta i ponteggi per i restauri o apposite installazioni che per un tempo determinato permettono dei faccia a faccia emozionanti. Guardare da pochi centimetri il volto di Nicodemo, dietro al quale si nasconde Michelangelo stesso, mette i brividi. E poi quel Cristo privo di vita che si accascia verso il basso nonostante un torso muscoloso, ellenistico, mentre il collo e la testa si inclinano verso destra, incontrando il volto di Maria che con il braccio sinistro regge l’ascella del figlio. Al contempo la gamba destra di Gesù, sorretta dalla Maddalena inginocchiata lì accanto, si piega verso sinistra. Infatti, a differenza delle altre due Pietà (quella giovanile in San Pietro e la Rondanini a Milano) il corpo del Cristo è qui sorretto non solo da Maria, ma anche dallanziano Nicodemo e appunto dalla Maddalena. Fatto sta che a così poco distanza appare ancora più evidente il fascino di quest’opera incompiuta, di questo gruppo scultoreo lavorato in maniera difforme, anche nelle proporzioni. Nessun elemento è del tutto terminato. Alcune parti sono state amputate dallo stesso autore a testimonianza della travagliata storia di questo capolavoro noto come Pietà Bandini, adesso conservato nel bellissimo Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, che a detta dello storico dell’arte Antonio Natali, già direttore degli Uffizi, «è uno dei più grandi musei di scultura al mondo». Qui, per due anni, la Pietà è stata sottoposta a un restauro discreto e sensibile, commissionato e diretto dall’Opera di Santa Maria del Fiore con il finanziamento della Fondazione non profit Friends of Florence, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza archeologica Belle arti e paesaggio di Firenze.

Il restauro ha offerto un’occasione unica per comprendere la complessa storia dell’opera, le varie fasi di lavorazione e la tecnica scultorea utilizzata. Un intervento che restituisce al mondo la bellezza di uno dei capolavori più intensi e tormentati di Michelangelo, liberato dai depositi superficiali che ne alteravano la leggibilità delleccezionale plasticità e la cromia. L’obiettivo del restauro, è stato quello di raggiungere una lettura uniforme ed equilibrata dell'opera, riproponendo l'immagine della Pietà, scolpita in un unico blocco, come probabilmente pensata in origine da Michelangelo. Grazie alla scelta di realizzare un cantiere di restauro «aperto», i visitatori del Museo hanno potuto vedere il restauro in corso dopera. E ora, in via eccezionale per i prossimi sei mesi, dal 25 settembre fino al 30 marzo del prossimo anno, l’Opera di Santa Maria del Fiore ha deciso di lasciare il cantiere per permettere al pubblico, con delle visite guidate, di vedere da vicino e in un modo unico e irripetibile, la Pietà restaurata.

Dettaglio del volto di Nicodemo

Dettaglio del volto di Nicodemo - courtesy Opera di Santa Maria del Fiore, foto di Claudio Giovannini

Tra l’altro, le indagini diagnostiche sul blocco di marmo di oltre due metri di altezza e del peso di 2 mila 700 chili, hanno portato alla scoperta che si tratta di un marmo proveniente dalle cave di Seravezza, in provincia di Lucca, e non di Carrara, come ritenuto fino ad oggi. Una scoperta significativa perché le cave di Seravezza erano di proprietà medicea e Giovanni deMedici, futuro Papa Leone X, aveva ordinato a Michelangelo di utilizzarne i marmi per la facciata della chiesa di San Lorenzo a Firenze e di aprire una strada per trasportarli al mare. Come mai questo enorme blocco di marmo fosse nelle disponibilità di Michelangelo a Roma, quando ultrasettantenne scolpisce la Pietà tra il 1547 e il 1555, rimane però un mistero. Sappiamo anche che Michelangelo non era soddisfatto della qualità di questi marmi perché presentavano venature impreviste e microfratture difficili da individuare dallesterno. Grazie al restauro è stato possibile confermare, per la prima volta, che il marmo utilizzato per la Pietà era effettivamente difettoso, come racconta anche il Vasari nelle Vite descrivendolo duro, pieno dimpurezze e che «faceva fuoco» a ogni colpo di scalpello. Sono, infatti, emerse tante piccole inclusioni di pirite nel marmo che colpite con lo scalpello avrebbero certamente fatto scintille, ma soprattutto la presenza di numerose microfratture, in particolare una sulla base che appare sia davanti che dietro, e che fa ipotizzare che Michelangelo incontrandola mentre scolpiva il braccio sinistro di Cristo e quello della Vergine, sia stato costretto ad abbandonare l’opera per l’impossibilità di proseguire il lavoro. Unipotesi più credibile di quella di un Michelangelo che oramai anziano, scontento del risultato, abbia tentato in un momento di sconforto di distruggere la scultura a martellate, nonostante fosse una delle sue ultime opere e, come ci ricorda monsignor Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, fosse destinata al monumento funebre dello stesso artista. Eppure, «oltre al suo significato umano e devozionale, questa Pietà risponde - a giudizio di Verdon - anche a una delle questioni dottrinali della controriforma cattolica allora in corso. Negli anni tra il 1550 e il 1551, mentre Michelangelo ancora lavorava all’opera, il Concilio di Trento emanò un decreto a conferma della fede della Chiesa nella “reale presenza” del corpo e sangue del Redentore nel pane e vino consacrati durante la Messa, e così la Pietà che doveva collocare il Cristo direttamente sopra la mensa eucaristica invitava a correlare il corpo scolpito con il “Corpus Domini” sacramentale. L’allestimento della Pietà nel Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore s’ispira a questa finalità catechetica, ponendo il gruppo scultoreo su una base alta come un altare e con la stessa forma».

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