Sono anni che Avvenire chiede che il presidente della Federcalcio sia l’espressione diretta del campo, alias un calciatore. Pertanto la candidatura ufficiale alle elezioni del n.1 della Figc (si terranno il prossimo 29 gennaio) del 43enne Damiano Tommasi, lo diciamo con assoluta franchezza, da noi non può che essere accolta che con entusiasmo. Una ventata di novità dopo il triennio (2014-2017) del Tavecchio che avanzava, fino alle dimissioni dello scorso novembre. Del resto è dal lontano anno di guerra 1944 che al comando della Figc non siede un professionista della pedata. Allora si trattò di un breve periodo di reggenza – da agosto a novembre – ad opera del dottor “Fuffo” Fulvio Bernardini, grande pensatore con i piedi e cervello finissimo, tanto da essere uno dei primi e rari laureati (Economia alla Bocconi) del calcio d’antan. Dopo la parentesi Bernardini, sulla poltrona presidenziale si sono seduti solo ed esclusivamente dirigenti federali, qualche presidente di club (Umberto Agnelli e Franco Carraro), commissari e controllori (Guido Rossi nel funesto 2006 di Calciopoli), cortigiani di Palazzo, e troppo spesso improvvisatori, peraltro datati.
Adesso potrebbe toccare a lei prendere in mano la Figc. Finalmente un calciatore...
«Non si tratta di aver giocato o meno a calcio, ma di voltare pagina e di creare finalmente una “Federazione ideale”. Cioè una Figc che dia voce a tutti. Ad ognuno il giusto peso e altrettante responsabilità: ai calciatori, agli allenatori, all’imprenditoria, sana possibilmente, che investe sul calcio e a tutte le componenti che fanno parte di questo nostro mondo».
Però ammetterà che la figura del presidente ex calciatore mancava solo in Italia.
«Innanzitutto prima mi devono eleggere – sorride –. Io comunque penso di aver maturato esperienze tali anche fuori dal campo da poter ambire al ruolo di dirigente sportivo. Se ho deciso di metterci la faccia e di dare il mio contributo è perché credo fortemente nella ne- cessità di cambiamento per percorrere la strada dell’innovazione».
Allora via alla campagna elettorale puntando sui social. Ma il suo hashtag #cambiamoilcalcio qualcuno lo sta strumentalizzando politicamente dandogli del “grillino”.
«E si sbagliano di grosso. Nella mia storia di presidente Aic (Associazione calciatori italiani) ho sempre collaborato con tutte le componenti politiche e con i governi in carica, senza distinzioni. Il rapporto proficuo con l’attuale ministro dello sport mi fa sperare che in futuro ci sia un ministero dello Sport sempre più garantito e presente. Il discorso dei social nasce dal fatto che la Federazione è un ente privato ma ha un notevole ruolo pubblico, pertanto uso il canale più diffuso. E poi anche per smitizzare l’immagine dei social banali e banalizzanti ospitando nel mio canale proposte e idee serie e forti che mi stanno arrivando da persone comuni, tifosi del calcio ovviamente, ma anche personaggi autorevoli e di indubbia competenza».
Messaggi ricorrenti a #cambiamoilcalcio?
«Beh, la riforma dei campionati, stadi di proprietà dei club e la creazione delle seconde squadre iscritte ai campionati di Serie C».
Molti sono perplessi sulle seconde squadre, lei invece, in tempi non sospetti, ne ha fatto una bandiera.
«Vero, e ritengo che i benefici sarebbero molteplici. Le seconde squadre possono essere un deterrente ai troppi fallimenti finanziari a cui abbiamo dovuto assistere impotenti negli ultimi dieci anni. Sul piano tecnico poi permetterebbero alle rappresentative azzurre di selezionare più talenti italiani rispetto ad ora. I numeri parlano chiaro».
E quali sarebbero queste cifre?
«La Spagna campione del mondo del 2010 aveva 20 giocatori su 23 che erano passati dalle seconde squadre della Liga. Oggi in Spagna chi passa da lì oltre il 50% rimane nel professionismo. Da noi si è visto che nelle stagioni calcistiche che vanno dal 2011 al 2014 solo il 23% degli ex calciatori della Primavera sono diventati professionisti (l’11% ha tentato fortuna all’estero), il 48% è sceso nel dilettantismo, mentre il 16% ha abbandonato per sempre il calcio giocato. Oggi di quegli ex Primavera solo il 4% gioca in Serie A, il 6% in B e il 12% in C. Un po’ poco, no?».
Per evitare tutto questo cosa propone?
«Maggiori investimenti sul Club Italia e i suoi centri federali. Più corsi di formazione per i responsabili dei centri giovanili in cui ci vogliono allenatori qualificati. Ogni squadra di bambini deve avere un tecnico adeguatamente formato e questo va fatto anche incentivando la partnership con l’Università, magari con l’inserimento di piani di studi nelle facoltà di Scienze motorie in cui si possano “laureare” direttamente allenatori di base».
A proposito di allenatori: la Nazionale è ancora senza ct. Nominarne uno sarà la prima cosa che farà da presidente? E che profilo dovrebbe avere il nuovo selezionatore azzurro?
«Quella del nuovo ct sarà una delle prime decisioni ma non la primaria. Ripeto la priorità va data all’innovazione e al voltare pagina con il passato. Le prossime amichevoli, che saranno comunque importanti (in primavera contro Inghilterra e Argentina), le preparerà Gigi Di Biagio, ct dell’Under 21. Sul futuro ct più che un profilo ho diverse idee che diventeranno percorribili nel momento in cui in Federazione si avvertirà davvero la nuova atmosfera di svolta. E cioè una Figc più forte e compatta, davvero rappresentativa di una cultura calcistica che torni a coinvolgere l’intero Paese».
Ma la “svolta” da cosa passa in concreto?
«Dal tornare a mettere al centro del progetto e dei nostri discorsi federali il calcio, come sport e come gioco soprattutto. Il progetto si baserà su squadre di persone esperte, moralmente elevate che abbiano allenato in settori giovanili, dirigenti seri e capaci che diano un contributo formativo con i giusti equilibri economici e normativi. Abbiamo bisogno di persone come Roberto Baggio che parlino la nostra lingua, quella di chi ama davvero il calcio italiano e che intende dargli un futuro solido e autorevole».
Contro violenza e razzismo basteranno gli stadi di proprietà?
«Le società che ce l’hanno già mi pare che abbiano avuto riscontri positivi quanto a riduzione degli episodi. Comunque è già in essere una direttiva tra la Figc e il Ministero della difesa in cui le le società possono attuare autonomamente delle sanzioni per episodi di razzismo e violenza. In futuro i club potranno “scegliersi” i loro tifosi e sanzionarli indipendentemente dalle norme in vigore. La società nel suo stadio ha il diritto-dovere di non fare più entrare chi delinque».
Ma delle sue idee i presidenti della Serie A cosa ne pensano?
«Ci sono presidenti che ascoltano e altri magari no. Io ho già detto che vivo la mia candidatura con grande coscienza e responsabi-lità, ma se spuntasse una “quarta persona” (vedi Billy Costacurta) sarei pronto a fare immediatamente un passo indietro».
Il dilettantismo, che poi è la grande massa dei tesserati, le potrebbe rimproverare di essere espressione solo del grande calcio...
«Sono un dilettante anch’io, tesserato per la squadra del mio paese, il Sant’Anna di Alfaedo, Seconda categoria. Anzi, con i miei compagni di squadra ci siamo già informati se ci fosse qualche conflitto di interesse... Nel caso diventassi presidente Figc potrei continuare a giocare con loro – sorride –. Sarei il primo calciatore in attività a capo della Federcalcio».