Ha parato tutto il possibile Francesco Toldo e a volte, forse anche l’impossibile. Più personaggio da derby del “gigante buono” (196 centimetri d’altezza) di Padova non ce n’è. La sua lunga carriera da guardiano di porta era cominciata a Milanello. «Ero arrivato al Milan a 17 anni, dividevo la stanza con Gianluca Pessotto». Poi è andato a Firenze e dal 2001 fino alla passata stagione ha contribuito allo sviluppo del bolide Inter. A quarant’anni (li compie il 2 dicembre) Toldo non va più in porta come faceva il suo «idolo d’infanzia», Dino Zoff, ma prova ancora a bloccare e a deviare i mali che affliggono quei bambini meno fortunati che assiste, in giro per il mondo, da ambasciatore di Inter Campus.
“Ambasciator”, dunque, non porta pene, ma palloni?«Con Inter Campus portiamo prima di tutto il diritto al gioco e allo studio, con la certezza che il pallone è uno strumento magico: fa sparire momentaneamente i problemi e dona gioia. Mentre stiamo parlando la cosa che più mi affascina è che anche in Africa, oppure in India o negli Stati Uniti che non sono proprio dei Paesi calciofili, anche nel villaggio più remoto ci sono persone di tutte le età che stanno rincorrendo un pallone».
Potere del calcio solidale, che è in grado di unire anche Inter e Milan perfino nella settimana del derby-scudetto.«Collaboriamo con Fondazione Milan e a settembre andremo insieme dai bambini terremotati dell’Abruzzo, a Villa Sant’Angelo. Lì Inter Campus ha già costruito un campo in erba sintetica e quest’estate ai ragazzi abbiamo regalato tre settimane di vacanze sulle Dolomiti».
Prima che diventasse allenatore, a capo di Fondazione Milan c’era Leonardo, attuale tecnico dell’Inter.«Con Leonardo infatti quando ci siamo incontrati non abbiamo parlato di calcio, ma ci siamo confrontati sulla base della sua precedente esperienza in Fondazione Milan. Gli ho confidato delle grandi emozioni che sto vivendo in questo nuovo ruolo in Inter Campus e dei tanti viaggi che faccio per far conoscere e ampliare sempre più il nostro progetto».
Quali sono le ultime vittorie importanti di Inter Campus?«Anche solo riuscire a regalare un sorriso ad un bambino per noi rappresenta un successo. A volte una nostra partita ha anticipato la cessazione di un conflitto o comunque è servita a creare un momento di pace. In Terra Santa siamo riusciti a far giocare insieme ragazzini palestinesi e israeliani. È stata la conferma che spesso gli adulti sono “inquinati”, mentre ai bambini basta un pallone e una maglia dell’Inter per sentirsi parte integrante di uno stesso mondo».
Parole da campione e di chi è entrato in profondità nel mondo dei più piccoli.«La mia prima regola è sempre stata: mai negare una foto o un autografo a un bambino quando lo chiede. Ai loro occhi noi calciatori siamo degli esempi e allora se gli rifiuti un gesto così semplice, non solo gli fai del male, ma in quello stesso istante crolla anche la bella immagine dell’eroe che si era fatta di te».
Chi è stato il maestro di Francesco Toldo?«Giancarlo Caporello, un uomo fantastico che a Montebelluna ha tirato su una marea di ragazzi. Ricordo ancora le sue Superga bucate… Un giorno gli dico, ma scusa Giancarlo, perché non te ne compri un paio nuove? E lui: “Vedi Francesco, io senza queste come faccio a metterti la palla sotto l’incrocio?”. Mi aveva appena insegnato che cos’è l’umiltà: accontentarsi di quello che hai e cercare di migliorarti con un approccio positivo nello sport come nella vita».
Un approccio che nel nostro calcio stressato spesso non si avverte.«È vero. E così capita di rimanere spiazzati quando prima e dopo una finale del Mondiale per club vedi in uno spogliatoio venti giocatori congolesi (quelli del Mazembe) che cantano felici, anche se hanno perso. Da noi bastano due sconfitte di fila per gridare al dramma».
Da noi si dice anche che il calcio è in crisi perché ci sono troppi stranieri.«Gli 11 stranieri in campo dell’Inter non sono uno scandalo e tanto meno rubano il posto ai nostri giovani, ma vanno visti invece come 11 mondi che si confrontano tutti i giorni. I miei compagni di squadra mi hanno sempre arricchito con le loro storie che arrivano dalla Romania fino al Camerun, passando per l’America latina. E poi, se gli italiani sono bravi, a gioco lungo si può star certi che il loro spazio lo trovano. In caso contrario, vuol dire che il campo, l’unico giudice del talento, ha selezionato il migliore».
E il talento in porta come si seleziona?«Il grande portiere deve essere stravagante, un po’ sbruffone, lunatico e possedere la giusta dose di sana pazzia che lo aiuti a superare le situazioni più delicate».
Ha fatto un identikit assai distante dal suo idolo Dino Zoff che poi ha ritrovato come ct in Nazionale. Cosa ha pensato quando si dimise per le critiche ricevute dal premier Berlusconi?«L’ho ammirato. Quella è stata la scelta che può fare solo un uomo libero, che se ne frega dei soldi, perché il rispetto e la dignità non hanno prezzo. Ma pochi arrivano a tanto. Dopo Zoff comunque l’ha fatto anche Leonardo...».
C’è stato un momento che tra lei e Gigi Buffon si era creato un “duello” sportivo, tipo Bartali-Coppi.«Tra me e Gigi mai stata rivalità, perché prima che due campioni siamo due brave persone. Tra i portieri della Nazionale poi c’è sempre stata complicità. Mai digerito il ritiro, anzi sarei per l’abolizione, ma ci tornerei solo per rivivere certe notti con Angelo Peruzzi: anche alla vigilia di una sfida importante si rideva come dei pazzi fino all’alba».
Possiamo dire che il suo più grande rimpianto in azzurro è stata la finale persa al golden-gol con la Francia, agli Europei del 2000?«No perché grazie a quegli Europei ancora oggi tutti si ricordano di Toldo e dei rigori parati nella semifinale con l’Olanda. E poi la sconfitta con la Francia mi ha insegnato una cosa molto importante che vorrei inculcare ai giovani: smettere di considerare il primo un fenomeno e il secondo classificato come un povero asino. Per cambiare questa deformazione mentale il calcio dovrebbe andare a prendere lezione dagli altri sport».
Il calcio, vista la pagina nera di Calciopoli, dovrebbe prendere anche lezioni di trasparenza.«Dove ci sono grandi interessi economici si insinua il malaffare e il calcio non è esentato. In quegli anni di Calciopoli ho provato una sensazione di impotenza. La legge del campo non era più rispettata, ma veniva costantemente sopraffatta da forze esterne. Una volta scoperte e allontanate quelle, ho capito che era giusto restare all’Inter. Ripristinando la legge del campo questa squadra non poteva che vincere tutto, come è stato. E come sarà...».
Inter ancora superiore, anche al Milan?«Leonardo ha riportato quell’energia e quella convinzione dell’Inter di Mourinho. E contro quella, diventa durissima per tutti, specie in Italia».