Gli effetti del sisma a Demirkopru : si notano i fenomeni di spostamento laterale, oltre che verticale, del terreno - Yasin Akgul - Afp
La violenza con la quale i terremoti avvenuti in Turchia si sono manifestati è testimoniata anche dalle fotografie riprese dallo spazio. Il satellite europeo Sentinel-1 ha messo in luce le presenza di due faglie - così come vengono chiamate dai geologi le fratture nella crosta terrestre lunghe le quali avvengono i terremoti - che si estendono rispettivamente per 300 e 125 chilometri. I ricercatori del Centre for the Observation & Modeling of Earthquakes, Volcanoes & Tectonics (Comet) del Regno Unito hanno trovato le faglie confrontando le immagini dell’area interessata dal sisma scattate dal satellite prima e dopo i devastanti terremoti. La più lunga è stata creata dal primo dei due tremori che hanno colpito la regione, quello che ha raggiunto Magnitudo 7.8. La seconda si è originata in seguito al sisma di minor intensità, ma comunque molto intenso, di Magnitudo 7.5. Spiega Tim Wright, responsabile del Comet: « Fessure di questo genere si possono formare comunemente dopo un sisma, ma non c’è dubbio che quelle turche siano tra le più lunghe mai registrate sui continenti. Tra l’altro è stato anomalo anche il fatto che due sismi di fortissima intensità si siano verificati molto vicini l’uno all’altro». Il primo terremoto è stato così violento da essere stato registrato anche alla base italiana in Antartide “Mario Zucchelli”, che è posta a circa 15.000 chilometri dall’epicentro, ossia il punto dove si è verificata il terremoto. Le grandi fratture comunque, si possono osservare anche dalla superficie tant’è che attraversando le città o le campagne si nota la loro presenza, con il terreno dislocato anche di 5 o 6 metri. Secondo rilevamenti eseguiti dalla Nasa l’epicentro dei sismi, si trova a 18 chilometri sotto la superficie. È una profondità molto ridotta (i terremoti possono verificarsi anche a 300 chilometri e più in profondità) e questo ha fatto sì che l’energia che si è sviluppata si sia propagata anche a distanza di centinaia di chilometri. La prima scossa è stata molto simile, per intensità, a quella che distrusse San Francisco nel 1906. La causa di questi terremoti e della sismicità della regione turca in generale è da ricercare nel fatto che nell’area si incontrano tre placche tettoniche: la anatolica, l’araba e l’euroasiatica che creano pressioni elevatissime la cui energia si sfoga di tanto in tanto attraverso i terremoti. La penisola araba si sta spostando verso nord, verso l’Europa, e questo movimento spinge verso ovest la placca dell’Anatolia a cui appartiene la Turchia. Questo spiega come la Turchia sia caratterizzata da faglie che fanno scivolare le placche le une rispetto alle altre, faglie chiamate “trasformi”. Ancor peggio della faglia dove si è verificato il sisma (chiamata faglia dell’Anatolia orientale) è la faglia dell’Anatolia settentrionale che praticamente percorre da est a ovest l’intera Turchia settentrionale per circa 1.200 chilometri. Questa faglia ha visto in tempi storici il ripetersi di terremoti sempre superiori a Magnitudo 7 e nel corso del tempo, salvo rare eccezioni, gli epicentri si sono spostati da est verso ovest. Per questo molti geologi ipotizzano che il prossimo forte sisma potrà interessare l’area attorno a Istanbul. I movimenti delle placche sono di pochi centimetri all’anno (attorno ai 2-3 cm), ma coinvolgono masse crostali enormi e questo spiega l’energia in gioco. I terremoti turchi possono innescare altri sismi violenti? Fino all’inizio degli anni 2000 la risposta dei geologi a questa domanda sarebbe stata una sola: « Assolutamente no! Non c’è alcun nesso tra terremoti che si verificano in luoghi diversi e lontani, perché ogni sisma è un evento a sé, scollegato da ogni altro. Più precisamente, non ci sono connessioni tra terremoti che avvengono su faglie diverse ». Ora, invece, si sospetta che ciò possa effettivamente accadere. Un esempio portato a sostegno di questa ipotesi è quanto avvenuto dopo il sisma che si verificò a Landers, in California, il 28 giugno 1992, di magnitudo 7.3: tre ore dopo si verificò un terremoto di magnitudo 6.5 a Big Bear, a 45 chilometri di distanza. Una “semplice” scossa di assestamento? No, perché Big Bear, anche se è vicino a Landers, si trova su una faglia diversa: secondo le vecchie ipotesi tra i due terremoti non poteva esserci alcun legame. Ed invece i calcoli e le simulazioni hanno dato ragione ad uno dei sostenitori di questa ipotesi, Ross Stein, geologo dell’Usgs (il servizio geologico americano): il primo terremoto avrebbe fatto aumentare lo stress delle rocce proprio nell’area di Big Bear. Approfondendo questa ipotesi, Tom Parson, anch’egli del servizio geologico Usa, ha calcolato che un centinaio di terremoti con magnitudo superiore a 7, succedutisi in un arco di tempo di 25 anni, avrebbero innescato circa 1.200 terremoti meno intensi (magnitudo superiore a 5) nel raggio di 250 chilometri dall’evento principale: scosse che non si potevano considerare di assestamento, ma piuttosto, in accordo con la visione di Stein, una conseguenza dello spostamento dello stress sismico da una faglia all’altra. « L’energia rilasciata da un sisma può propagarsi per migliaia di chilometri», aggiunge Thomas Henyey, geologo presso l’Università della Southern California di Los Angeles: « Il terremoto del 2002 di magnitudo 7.8 che colpì la faglia Denali in Alaska, per esempio, fece sussultare la faglia Wasatch nello Utah, così come alcune faglie di Yellowstone». E non è detto che i due sismi turchi ricadano proprio in questo tipo di eventi. Come si diceva, tutto questo è causato dal movimento delle placche, ma un dibattito di lunga data cerca di spiegare come e cosa le fa muovere. Un’ipotesi voleva che la litosfera (la parte solida/superficiale della Terra) appoggiasse su uno strato liquido, ma finora non vi era conferma. Ebbene una ricerca pubblicata su “Nature Geoscience” avrebbe scoperto questo strato fuso a circa 160 chilometri di profondità, in quella parte di Terra chiamata astenosfera. E questo strato interesserebbe gran parte del Pianeta. Junlin Hua, della Jackson school of geosciences dell’Ut che lo ha individuato attraverso lo studio delle onde sismiche dei più grandi terremoti avvenuti sulla Terra, pensò inizialmente di aver scoperto il letto su cui scivolano le placche. Ebbene, con grande sorpresa, dopo aver creato modelli su modelli, ha dovuto ammettere che non è così. Quello strato di roccia fusa non ha alcuna influenza sullo scivolamento delle placche. Queste invece, sembra che si muovano perché il calore proveniente dall’interno della Terra trasforma una parte delle rocce della mesosfera in uno stato simile al miele che permette loro di muoversi. Ma, a dire il vero, quale sia il meccanismo principale che sta alla base di tutto ciò rimane ancora in parte da svelare.