sabato 5 febbraio 2011
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Mario Martone ci ha preso gusto a raccontare il Risorgimento. Prima cantore della nostra storia patria all’alba dell’Unità con il film Noi credevamo, ora, come direttore del Teatro Stabile di Torino, anche curatore di una rassegna che ripercorrerà le tracce scavate a grossi passi da una Nazione vecchia di 150 anni. Un cartellone lungo una ventina di spettacoli, molti inediti, che durerà da febbraio fino a novembre, e dal titolo che rimanda a quello che disse il marchese Massimo D’Azeglio all’indomani della proclamazione del Regno unificato, nel 1961: Fare gli italiani: «Fare – spiega Martone – perché con la fatica, delle mani e della testa, si è costruita l’Italia e, anche se non del tutto, il suo popolo; ma "fare" anche come "ri-fare", rappresentare su un palco, attraverso il Teatro, cosa siamo stati, cosa siamo diventati e cosa potremmo essere». Accanto a Martone, a curare la rassegna c’è Giovanni De Luna: «È un percorso – spiegano – che rinvia a un’identità nazionale che è essenzialmente una costruzione, un progetto cui concorrono diversi costruttori, che cambiano di volta in volta a seconda delle fasi che scandiscono la nostra storia». Una storia che si articolerà in punti fermi, a cui aggrappare il racconto di 150 anni: snodi fondamentali di un lungo viaggio, come «Lavoro e Industria», sessione di debutto della rassegna (l’8 febbraio) con 18 mila giorni-Il pitone, con la strana coppia Giuseppe Battiston e Gianmaria Testa. Il «Risorgimento» verrà raccontato da Sull’ordine e il disordine dell’ex macello pubblico di Enzo Moscato sulla Repubblica di Napoli del 1799, e da Pro Patria di Ascanio Celestini, sulla brevissima vita della Repubblica Romana, del 1849. Spettacoli che andranno in scena ad aprile, giusto a metà degli altri nuclei tematici: «Prima Guerra Mondiale», «Questione meridionale», «Città italiane»; e poi: «Seconda Guerra Mondiale», «Partiti e movimenti politici», «Dopoguerra», «Sport», «Movimenti migratori». C’è la storia e ci sono le nostre vicende irrisolte, geografiche e sociali: il piccolo mondo antico di un Meridione prima arretrato, poi abbandonato e infine spopolato (tra gli altri: Italoamericana), i morsi della criminalità sulle città durante l’urbanizzazione (Animenere e Qui città di M.). Tanti mondi, tanti spettacoli, per raccontarci in uno spirito unitario anche feroce, come dice De Luna, «senza i soliti stereotipi del Risorgimento, ma con storie fatte di carne e sangue, vite vere, in particolar modo nel vicino Novecento». La rassegna costa complessivamente 300 mila euro di cui 200 mila messi a disposizione dal Comitato Italia 150, 100 mila da Iren. Un dato colpisce in particolare di questo enorme sforzo teatrale: in questi 22 spettacoli sull’Unità d’Italia il mondo cattolico (fa capolino due volte (nello spettacolo di Celestini, e in Una casa d’altri di Giuseppe Bertolucci) e non è mai rappresentato – a quanto si può leggere dalle presentazioni – in una luce positiva.
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