Il luogo dell’attentato al Bataclan nel 2015, con i fiori deposti come atto pietoso verso le vittime - Epa/Yoan Valat
Tre anni fa, in settembre, il presidente francese Macron rese nota l’intenzione di costruire un museo il cui nome forse può sembrare un po’ strano se non inopportuno: si dice sempre infatti che al marchio dell’infamia dovrebbe corrispondere una damnatio memoriae. Ma nella società dei mass media è un proposito destinato al fallimento. Si dice anche che il male compiuto, soprattutto quando genera tragedie epocali, debba essere ricordato perché non abbia a ripetersi, ma come la storia ha dimostrato il male si ripresenta puntualmente, in forme nuove e persino più terribili, nonostante si cerchi di tenerlo fuori dalla porta. La saggezza degli antichi ci insegna che bene e male sono e saranno intrecciati fino alla fine dei tempi. E in ogni caso questa volontà di disseminare monumenti negli spazi della vita collettiva ricordando sempre e invariabilmente le ferite della storia, anche le tragedie più immonde, è una illusoria e erronea interpretazione della massima ciceroniana historia magistra vitae.
La storia può anche insegnare – sia lecito nutrire su questa verità qualche dubbio –, semmai sono gli allievi che lasciano a desiderare e rovinano le aspettative. La storia, in ogni caso, non va confusa con la memoria (cui ogni tanto servirebbe una pausa, un po’ di oblio, perché ricordare sempre ha effetti talvolta ancor più negativi). Sono due diversi atti della volontà: la prima è una successione di fatti a cui gli uomini attribuiscono un senso; la seconda è la decisione di fare giustizia attraverso il ricordo, ma talvolta assomiglia alla vendetta dei vincitori sui vinti (che un tempo furono vincitori, magari), quando addirittura non diventa un modo per tenere sotto scacco la psicologia collettiva. Comunque sia Macron nel 2018 ha deciso di dare un contributo “spiazzante” all’industria della memoria e si è mosso affinché venga realizzato un museo per ricordare le vittime e gli atti del terrorismo. Fino a qualche giorno fa si diceva che sarebbe sorto a Parigi o nella sua periferia, poi la presidenza della Repubblica ha fatto sapere che sarà a ovest della capitale, a Suresnes, nel dipartimento dell’Hauts-de-Seine.
Risale invece a tre settimane addietro l’arresto a Parigi dei terroristi italiani che, grazie alla dottrina Mitterrand, vennero accolti in Francia e da trent’anni godevano di asilo politico. Le due vicende sono collegate? È ragionevole pensarlo, se non altro perché da tempo e con forte determinazione i francesi chiedono che lo Stato intensifichi la lotta al terrorismo per garantire la sicurezza. Mentre da vent’anni in Francia si sta combattendo il terrorismo islamico (e non solo), questo nuovo mémorial che vedrà la luce nel 2027, ma la cui prima pietra verrà posta da Macron nel marzo del prossimo anno, è atteso come un simbolo della volontà di non arrendersi a chi attenta alla vita civile (l’edificio sorgerà « à l’immédiate proximité du Mémorial de la France combattante »). Colpite la Francia – diceva già Michelet nell’Ottocento – ed è come se colpiste il popolo; e viceversa. Lo si può dire anche di questa lotta al nuovo terrorismo che i francesi sentono come una minaccia a se stessi e alla nazione, e quando ci so- no di mezzo questioni di ordine pubblico e di sicurezza nazionale i ministri del-l’Interno, tanto che a governare sia la rive droiteovvero la rive gauche, usano tutti il pugno di ferro.
È il 1974 la data iniziale della “memoria” a cui è dedicato il nascente Musée-Memorial du Terrorisme, vale a dire dall’attentato al Drugstore Publicis, il primo atto terroristico dopo la fine della Guerra d’Algeria, commesso dal criminale venezuelano Carlos, uno dei più feroci all’epoca, arrestato recentemente e condannato all’ergastolo dalla giustizia francese, sia pure 43 anni dopo i fatti. Quindi si prosegue fino ai nostri giorni, con gli attentati del Bataclan e oltre. La cura è stata affidata allo storico Henry Rousso e al magistrato François Molins, che hanno disegnato una prospettiva tripartita: rendere omaggio alle vittime, ricostruire la storia degli attentati, prevenire: «Dovrà suscitare empatia e riflessione». Rileggendo questa storia troveranno posto, come antefatti, anche le vicende ottocentesche del terrorismo politico e di quello anarchico. E come ogni memorial, anche questo avrà incisi tutti i nomi delle vittime francesi, mentre la ripartizione interna si articola secondo il terrorismo nazionalista e indipendentista, quello politico, quello dell’estrema sinistra e dell’estrema destra, il terrorismo islamista ma anche nuove forme come l’ecoterrorismo e quello cibernetico.
Qualcuno sui giornali francesi si è subito domandato se all’Eliseo non ne avessero dimenticato uno fondamentale (che anche in Italia ha una lunga storia), il terrorismo di Stato. Fare giustizia significa anche ricollocare i fatti nel vero contesto storico. E le stragi di Stato ne fanno parte. Nei giorni scorsi si è saputo invece che per l’estradizione dei terroristi italiani di estrema sinistra dovremo aspettare forse due anni. La giustizia è lenta ma Macron non tornerà sulle sue decisioni, perché mostrerebbe debolezza rispetto alla richiesta dei francesi di un impegno sempre più forte nella lotta al terrorismo. Inoltre, se una cosa è chiara è la volontà del presidente (pur con qualche débâcle d’immagine, come in Libano) di pesare di più nel “governo globale” che dal terrorismo è minacciato. La dottrina Mitterrand quindi viene archiviata per “ragioni di Stato” conseguenti al nuovo Great Game. Il presidente socialista diede ingiustamente protezione ai terroristi italiani che si erano macchiati di reati di sangue; non pensava solo e anzitutto a tutelare la libertà di alcuni militanti affini alla sua ideologia, ma voleva ripulire la propria fedina politica.
Nel 1957, come guardasigilli del governo Mollet per un periodo di sei mesi, rifiutò la grazia a molti condannati a morte del Fln algerino, spedendo sul patibolo 45 pieds-noirs processati per direttissima dal tribunale mi-litare, secondo le norme stabilite da un decreto firmato nel 1956 dallo stesso Mitterrand, allora ministro degli Interni. Un provvedimento che il suo predecessore, Robert Schuman, aveva rifiutato di prendere perché riteneva che fossero negati agli imputati i diritti alla difesa. Poi, durante la campagna del 1981 per l’Eliseo, Mitterrand s’impegnò a far abolire quella pena di morte che aveva consentito un quarto di secolo prima su militanti politici per l’indipendenza algerina. E fra le sue strategie per rifarsi una verginità ci fu anche la scelta di dare asilo ai terroristi rossi italiani.