sabato 17 agosto 2024
Per Winkler la chiave per capire la storia della Germania dall’unità a oggi è l’assenza di moti rivoluzionari. Non lo furono il nazismo né il 1989. E se Bismarck è come Cavour, non esiste un Garibaldi
Il monumento nazionale a Bismarck, davanti al Reichstag di Berlino, a inizio Novecento

Il monumento nazionale a Bismarck, davanti al Reichstag di Berlino, a inizio Novecento - WikiCommons

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Winkler ricostruisce la storia della Germania dall’unità al 1989 attraverso l’assenza di veri moti rivoluzionari Se Bismarck è simile a Cavour, non esiste un Garibaldi: i processi sono stati gestiti sempre dall’alto. Una paura con radici antiche, che segna un presente sconcertante Anno 1799, il ministro prussiano, Carl August von Struensee segnala a un collega francese la differenza tra la Francia rivoluzionaria e l’evoluzione tedesca: «In Prussia la rivoluzione che voi avete fatto dal basso verso l’alto si compirà lentamente, dall’alto verso il basso». Eccolo il centro della storia della Germania, storia tragica e ancora turbolenta come stanno a indicare recenti e preoccupanti tendenze politiche. Lo storico Heinrich August Winkler si confronta con questa problematica in un brillante saggio I tedeschi e la rivoluzione. Una storia dal 1848 al 1989 (Donzelli, pagine 216, euro 25,00), presentata da un intervento incisivo di Angelo Bolaffi su La Germania nel disordine globale, più che mai attuale. Per Winkler la Germania è il paese dalla rivoluzione “mancata”. Tutto cominciò con lo shock tedesco nei confronti della Rivoluzione francese e dalla svolta violenta del giacobinismo del 1793; gli intellettuali tedeschi –anche quelli favorevoli agli esordi della Rivoluzione, come Kant e Herder – si convinsero presto su quale fosse l’unica prospettiva possibile per la Germania – o meglio per quella miriade di staterelli che formavano il Sacro Romano Impero, (sciolto nel 1806 per volontà di Napoleone): «Riforme anziché rivoluzione, – come sintetizza Winkler – rivoluzione dall’alto anziché dal basso». Noi italiani possiamo comprendere il Sonderweg, la “via speciale” tedesca poiché anche in Germania il problema della libertà s’intrecciava con quello dell’unità nazionale, ostacolata da una molteplicità di problematiche, come il ruolo incerto che l’Impero asburgico, con le sue numeroÈ se etnie, avrebbe dovuto avere all’interno del processo di unificazione tedesca. Se Bismarck può essere confrontato con Cavour, non c’è alcuna figura da avvicinare a Garibaldi. L’unità avvenne per volontà di Bismarck, con l’appoggio di Guglielmo I e dell’esercito prussiano, fedele ed efficiente. Fu uno sviluppo ricco di contraddizioni e contrasti: «Per certi aspetti – nota Winkler – il Reich del 1871 assomigliava a una lega di principi, ma non in senso tradizionale. Grazie a un Reichstag eletto a suffragio universale maschile, tra le caratteristiche dell’Impero c’era anche una forte componente democratica » che doveva fare i conti con la struttura statale e militare della Prussia non priva di una buona dose di assolutismo. Era un paradosso un Reich costituzionale, ma con un parlamento fortemente limitato da un esecutivo “di ferro” come il suo cancelliere, il quale si poteva permettere di escludere dalla società civile sacerdoti e vescovi nel Kulturkampf con l’appoggio dei liberati e dei progressisti e successivamente di contenere fortemente – questa volta con l‘appoggio dei conservatori – la libertà politica del partito socialdemocratico, cui era pur concesso di presentarsi alle elezioni (e di divenire ai primi anni del ‘900 il primo partito tedesco) e nello stesso tempo di varare la più avanzata politica sociale dell’epoca. Un coacervo di contraddizioni in questo “cuore” inquieto d’Europa, che non trova pace, da cui ci si possono attendere sviluppi imprevisti. Se il 1848 fu la prima rivoluzione mancata, anche quella più drammatica del 1918 presenta un bilancio fallimentare che già annuncia la «catastrofe della Germania», come Friedrich Meinecke ha denominato il dodicennio nazionalsocialista, l’onta che non passa e che ancora pesa sul destino tedesco. Si può discutere se l’ascesa al potere di Hitler presenti connotati rivoluzionari. L’appoggio popolare non mancò, anche se dietro le brune squadre delle SA e quelle lugubri delle SS manovravano i centri del potere politico ed economico a cominciare dal presidente della Repubblica, il feldmaresciallo Hindenburg e dalla sua “camarilla”, formata dai grandi latifondisti d’Oltrelba e dall’alta ufficialità, nonché dagli industriali renani. Winkler osserva il grande, sciagurato paradosso della storia tedesca: «Alla memoria del Terzo Reich, la forma più estrema della ribellione tedesca contro la democrazia, spetta, nel contesto generale della storia tedesca, un valore simile a quello che, per altre nazioni, riveste il ricordo di una rivoluzione coronata dal successo ». Quest’assurda contraddizione spiega certi flussi elettorali e politici nella Germania d’oggi. L’unica rivoluzione dal basso – ma sostenuta dall’alto – si pensi all’appoggio di Gorbacëv – furono le grandi manifestazioni popolari che precedettero la svolta del 1989, con la caduta del Muro, con l’unificazione pacifica della Germania. Non a caso a sostegno di quelle immense riunioni vi era la Chiesa protestante, con la sua tragica ed eroica intransigenza luterana. Ma sostanzialmente i tedeschi restano «un popolo senza rivoluzione». La Guerra dei Trent’anni (16181648) costituisce la chiave di volta della storia martoriata della Germania: d’allora è sorta la grande paura della rivoluzione, dei cambiamenti violenti. Anche nel 1919 agì nel proletariato e ancor più nei ceti medi il timore dell’irreparabile. E non si è mai esaurita quella indeterminatezza profonda che giunge fino ai nostri giorni, come nota Bolaffi: «Il fragoroso silenzio mantenuto da Angela Merkel […] sulla responsabilità della Germania (e dell’Europa) è certamente la più clamorosa manifestazione della profonda crisi di identità di un paese disorientato in un mondo “messo a testa in giù” dall’aggressione russa all’Ucraina dinnanzi alla quale l’intera classe politica tedesca è apparsa letteralmente smarrita». Di fronte allo sconcerto sempre più diffuso, in cui pare avvolgersi la Germania col suo destino, viene in mente il gran finale del Doctor Faustus manniano: «Un uomo solitario giunge le mani e invoca: Dio sia clemente alle vostre povere anime, o amico, o patria!». © RIPRODUZIONE RISERVATA Cartolina del 1900 circa con il Reichstag e il monumento a Bismarck, a Berlino / WikiCommons
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