Qatar, Abu Dhabi, Dubai: il triangolo dello sport. È lì il futuro, comprato a suon di quattrini. Soldi, tanti. Intrighi, pure. Corruzione, probabile. E poi, tentativi di rifarsi una verginità, esborsi milionari a ripulirsi la coscienza. Di tutto, di più. Innanzitutto, i soldi. Che pesano, quando c’è da mettere mano e organizzare grandi eventi sportivi. Cifre pazzesche, quelle del benessere economico: a Dubai, un miliardario ogni 200mila abitanti; ad Abu Dhabi, dati più o meno simili; in Qatar, il 14% delle famiglie ha un conto in banca pari ad almeno un milione di euro. Qualche cifra, rapportata allo sport. Ad Abu Dhabi, l’ultimo Gran Premio di Formula 1 della stagione: in pista sul circuito Yas Marina, costato circa 1.100 milioni di euro. Dubai ha cominciato in tempi non sospetti dai cavalli (è del 1994 la fondazione della scuderia Godolphin, mentre risale al 1996 la prima Dubai World Cup, disputata all’ippodromo Meydan, gioiello da 1 miliardo di euro), poi s’è buttata sul tennis calamitando gli assi della racchetta (Roger Federer è il recordman di successi in quel torneo) grazie a ingenti bonus. E poi, il Qatar, autentico fulcro: l’altra settimana gli assi del golf si sono dati battaglia nell’ultima gara dell’European Tour, mentre Doha si assicurava i diritti per i Mondiali di atletica del 2019 e dei prossimi Mondiali dilettanti di boxe, altri due grandi eventi dei circa 40 da organizzare nel prossimo anno dal nuoto alla pallamano, fino allo squash.Vetrina scintillante, naturalmente con il calcio a dare il tocco di luce in più. Il Mondiale del 2022 (in attesa di concorrere per le Olimpiadi del 2024), la competizione per eccellenza. Il calcio, lo sport che fornisce maggiore visibilità. La Coppa del Mondo, l’ultima conquista. Prima, era arrivato altro. Lo sbarco all’estero, acquistando o sponsorizzando club, appiccicando i propri marchi su stadi di prestigio. Dubai ha la Emirates Airways (la compagnia di bandiera, forse la migliore al mondo), che l’anno scorso ha speso più di 200 milioni di euro in sponsorizzazioni (ha accordi con Milan, Paris Saint Germain e Arsenal, il cui stadio ha impresso il marchio Emirates). Abu Dhabi ha la Etihad, che dà il nome al nuovo stadio del Manchester City: quella metà del calcio di Manchester, del resto, è cosa loro. Come è invece del Qatar, per mano della Qatar Investment Authority, il Paris Saint Germain. Le loro mani sul calcio europeo e, presto, su quello mondiale. Alla base c’è un antico vezzo arabo, almeno a detta dell’esperto di Medio Oriente Cristopher Davidson che ne ha parlato alla Bbc: «Una delle ragioni alla base di questo approccio è la volontà di crearsi una ampia visibilità, soprattutto con Paesi con cui ci sono o potrebbero esserci interessi, in modo da apparire aperti e plurali». Il tutto, magari mettendo sul piatto pratiche illegali e rifacendosi in altri modi la reputazione. Regole calpestate, in campo europeo: Psg e Manchester City colpite dall’Uefa per aver infranto le regole del
fair play Finanziario. E il Mondiale di calcio, la vera materia del contendere. Storia recente, le accuse di corruzione (nel mirino, oltre al Qatar, anche la Russia). Soldi, richieste, favori, tangenti: una matassa che non si sbroglia, anche per le colpe e le reticenze della Fifa. E poi, le accuse di schiavismo nei confronti degli operai immigrati che lavorano alla costruzione degli impianti: aspra contraddizione, per un Paese così ricco. Tra scandali e accuse, i tentativi di ripulirsi coscienza e reputazione. Innanzitutto, gli 800mila euro di donazione alla Wada per la lotta al doping. Poi, la recente creazione di un’agenzia che si propone di tutelare la sicurezza e l’integrità nel mondo dello sport. Peccato che a capo della sezione Integrity sia stato chiamato Chris Eaton, ex capo della sicurezza della Fifa. A lui, il
Timesha dedicato un’inchiesta dettagliata: ai tempi della Fifa, mentre indagava sul Qatar, proprio da lì riceveva regali mentre trattava il suo futuro ingaggio milionario. Ma, oltre alle accuse del
Times, si può notare che Chris Eaton alla Fifa si occupava di lotta alle combine, tra qualche intuizione e incredibili reticenze. Lasciata la Fifa, non si fece scrupolo di gettare ombre su un calciatore della Nigeria, la cui espulsione in una partita del Mondiale sudafricano contro la Grecia sarebbe stata oggetto di indagine dalla Fifa (ipotesi smentita dai suoi ex colleghi), mentre negava combine in gare di qualificazione mondiale (indagini della magistratura, invece, hanno dimostrato come fosse stata manipolata la doppia sfida tra Cambogia e il Laos) e forniva una serie di versioni differenti sul medesimo episodio (un’amichevole tra Kuwait e Giordania) per avvalorare la tesi di un suo decisivo intervento per evitare una combine. Insomma, non il massimo della trasparenza. Quella che fa difetto tra Qatar, Abu Dhabi e Dubai, nel triangolo dello sport del futuro.