venerdì 29 ottobre 2021
Riproposti i versi della grande autrice nata nel 1921 e morta nel 2014. Un percorso tra mito e storia, tra suggestioni orientali e presenza viva di Cristo
Splende di luce notturna il secolo di Elena Bono
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Sono cento poesie, ma si desidererebbe che fossero cento e una. Con la letteratura succede sempre così, specie con la letteratura in versi: ogni lettore trattiene in mente un frammento che gli pare decisivo e gli sembra suo soltanto. Non fosse tanto personale, la letteratura non sarebbe un’esperienza di libertà. Non sarebbe quell’inseguimento di sé, quell’incessante rispecchiamento nell’altro che Elena Bono ha testimoniato lungo tutta la sua vicenda umana e letteraria. Figlia di un latinista raffinato, Elena Bono nacque esattamente un secolo fa, il 29 ottobre 1921, a Sonnino, oggi in provincia di Latina. Dopo un cruciale passaggio a Recanati (qui, ancora bambina, avvertì per la prima avvolta un improvviso e irreparabile sentimento di solitudine), trascorse gran parte della sua esistenza a Chiavari, in provincia di Genova, nell’elegante casa affacciata sul mare nella quale viveva con il marito Gian Maria Mazzini, suo compagno nel quotidiano lavoro sui numerosi manoscritti del suo cantiere. A Lavagna, poco distante da Chiavari, Elena Bono morì il 26 febbraio 2014, lasciando in eredità un ampio corpus – articolato in narrativa, drammaturgia e poesia – che da subito è diventato oggetto di riscoperta. Una prima fase ha riguardato la prosa, con la riproposta in due diversi volumi ( La moglie del Procuratore, 2015, e Morte di Adamo e altri racconti, 2016, editi entrambi da Marietti 1820) dei materiali provenienti da uno dei suoi libri fondamentali, Morte di Adamo, apparso per la prima volta nel 1956 da Garzanti. All’epoca Elena Bono era, insieme con Pier Paolo Pasolini, l’esponente più in vista della giovane letteratura patrocinata dall’editore milanese. Ma sia con Pasolini sia con Garzanti il sodalizio era destinato a incrinarsi. L’imponente ciclo narrativo Uomo e superuomo, inaugurato nel 1985 dal memorabile Come un fiume, come un sogno, arrivò in libreria grazie all’iniziativa di una piccola casa editrice ligure, Le Mani, che nel 2007 ha realizzato la raccolta integrale delle poesie di Elena Bono, ora disponibile in e-book nel sito www.breviariodigitale.com. In occasione del centenario della nascita, Ares propone un’antologia che si preannuncia importante fin dal titolo, Chiudere gli occhi e guardare (pagine 192, euro 15,00). Si tratta del verso che fa da dichiarazione di poetica per l’intera opera della scrittrice. Lo si trova, in origine, nella poesia con cui si apriva nel 1952 la sua raccolta d’esordio, I galli notturni. La stessa, andrà aggiunto, che i curatori del volume attuale (Stefania Segatori, Francesco Marchitti e Silvia Guidi) pongono all’inizio di un percorso scandito in cento poesie, appunto. Una per ogni anno, con una ricorsività di temi e situazioni sulla quale efficacemente si sofferma in sede di prefazione il poeta Nicola Bultrini. «Se la poesia della Bono procede per immagini – scrive tra l’altro –, l’elemento portante è la luce», una luce che può a- vere la nettezza abbacinante delle composizioni ispirate a un repertorio mitologico rivisitato in piena autonomia oppure risultare come filtrata da un paravento nelle insuperabili calligrafie di imitazione o, meglio, immedesimazione orientale. Più spesso, però, ci si muove nella luce livida che illumina le scene di combattimento e di strage delle quali la giovane Elena Bono fu testimone come staffetta partigiana. Se la ricognizione di sé può riverberarsi sul paesaggio in limpide miniature come quella di Conforto («Luna luna non piangere perché sei sola. / Il cuore più solitario di tutti / a tutti appartiene»), è attraverso il confronto con la violenza che lo sguardo di Elena Bono si spinge a interrogare la Storia. Anche Uomo e superuomo, del resto, è un’epopea segnata dalla guerra e ad Aldo Gastaldi, il leggendario “Bisagno” della Resistenza ligure, Elena Bono volle dedicare una biografia, anch’essa rilanciata di recente da Ares. Non a caso, il nome di Bisagno risuona tra le pagine di Chiudere gli occhi e guardare, in strofe di dichiarato impegno civile che si mescolano con naturalezza all’andamento quasi melanconico di altre poesie. Orgogliosa del leopardismo spesso accreditatole dalla critica, Elena Bono non ha mai avuto bisogno di ricorrere all’emulazione per manifestare l’affinità istintiva e in alcuni casi sbalorditiva con il poeta che, per lei, era semplicemente “Giacomino”. Allo stesso modo, le fantasie cinesi di Invito a Palazzo (la prima edizione risale al 1982) rifuggono dalla smanceria esoticheggiante e si attestano su una durezza di matrice kafkiana, come conferma la poesia eponima della raccolta appena citata. Per Elena Bono l’Oriente ha rappresentato, nella fattispecie, la tentazione del nulla e del vuoto, sempre pronta a ripresentarsi e sempre respinta in virtù di un cristianesimo che, pur basandosi su una profonda conoscenza teologica, sempre conserva le caratteristiche di una fede elementare, in apparenza addirittura ingenua. «Cristo, svegliati, non dormire. / Lo so, tu fingi di lasciarmi sola. / Non fingere neppure, mio Signore. / Ho bisogno di te, / di sentire il mio cuore nel tuo, i tuoi nei miei pensieri», recita uno dei testi più espliciti dell’antologia, nella quale trovano posto anche le divagazioni cosmiche di un «Dio che sogna immortalmente l’Universo» e una riscrittura della Passione che culmina nello straziante Delirio e pianto di Maria («Uomini, non chiudete quella porta di pietra / o lasciatemi entrare»). E la centounesima poesia? Quella che il lettore si aspettava di trovare e che invece è gioiosamente costretto a recuperare dai suoi ricordi? Ognuno avrà la sua, si capisce. Se ci si potesse permettere un suggerimento, forse la scelta cadrebbe su questa didascalia per la tomba del condottiero Gian Giacomo nella Cappella Trivulzio di Milano: « – Conte, che mai vedete dagli alti spalti? / – D’ogni parte la mia morte nuda buia infinita». È proprio dove manca che la luce, misteriosamente, splende con più forza.

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