Damas y Caballeros, accomodatevi e guardateci: l’Europa del calcio continua a essere nostra e godetevi lo spettacolo. Lo Spagna power stringe, sempre più forte, la gola del continente del pallone, se l’Imperatore Carlo V vivesse in questi tempi e tifasse ma non ci sono dubbi, come tutti i leader degni di questo nome - potrebbe dire che pure sul suo calcio, non solo sul suo regno, non tramonta mai il sole. Per spiegare, bastano i nudi fatti. Tre finaliste su quattro nelle due Coppe continentali, bis del derby di Madrid in Champions League in soli tre anni e Siviglia ancora una volta - è la terza consecutiva , un record - in Europa League. Si è andati a un passo da una sorta di Copa del Rey con il Villarreal eliminato in rimonta dal Liverpool di Jürgen Klopp, Villarreal unica squadra iberica uscita perdente in questa stagione in un’eliminazione diretta contro una squadra straniera, visto che il magno Barcellona (in Champions League) è stato fatto fuori dall’Atletico Madrid e l’Athletic Bilbao, in Europa League, ha dato strada al Siviglia dopo avere estromesso a sua volta il Valencia. E nel caso in cui gli andalusi la spuntassero nella finalissima di Basilea con i Reds, ci troveremmo di fronte a uno spiazzante sei su sei nelle ultime tre stagioni, con la storica tripletta sivigliana nell’ex Coppa Uefa (mai nessuno ha colto tre affermazioni consecutive) da unire alle affermazioni in Champions di Real Madrid e Barcellona nel 2014 e 2015. In tutto questo, sullo sfondo, una Nazionale che ha incontrato la prima battuta d’arresto al Mondiale 2014 dopo anni pigliatutto e dati ancora più ampi se si allarga il campo visivo al primo scorcio di secolo: dal 2000, i sudditi dei Borbone si sono portati a casa 7 Champions e altrettante Coppa Uefa-Europa League con il contorno di altre due finaliste nella Coppa con le orecchie e tre nell’altra competizione. Barcellona e Real Madrid, si dice, bello vincere facile: due portaerei che alla loro potenza di fuoco abbinano il vantaggio di giocare in una lega che non li costringe a straordinari di fatica e di stress. Poi però si scorrono gli albi d’oro, le statistiche: e - pronti via - si incoccia nell’Atletico Madrid, che Simeone ha portato stabilmente nell’élite nazionale ed europea: seconda finale per il titolo continentale dopo due Europa League e una Supercoppa; il Siviglia, che - chiuso in patria dalle tre fortissime concorrenti - concentra con efficacia stupefacente i suoi sforzi nella competizione europea. E ancora il Valencia (due finali Champions con Cúper), l’Athletic Bilbao, il citato Villarreal, l’Espanyol, persino i piccoli Alaves e Osasuna, oggi nella polvere della Liga Adelante (la Serie B iberica), possono vantare finali e semifinali della vecchia Coppa Uefa negli anni Duemila, esattamente come capitava nelle nostre lande a cavallo tra gli ’80 e i ’90, quando in Europa si ritrovavano protagoniste anche un’Atalanta, un Torino, un Genoa, un Cagliari. Guarda caso, erano per la Serie A anni d’oro, specie a livello qualitativo, interpreti di campo e di panchina sviluppavano gioco che sapeva mixare propositività, tecnica, ritmo: così oggi fanno gli spagnoli, e il celebrato “Cholismo” dell’Atletico di Simeone sta lì a dire che non è solo possesso palla, non è solo tipico imprimatur della scuola spagnola da sempre votata al gioco creativo e offensivo. A questa propensione si aggiunge poi chiaramente un approccio mentale e strategico alle Coppe - nella fattispecie all’Europa League - molto più convinto e impattante rispetto alle consorelle straniere, non solo alle pigre, superficiali italiane: anche tedeschi e francesi, per esempio, sembrano incapaci se non riluttanti nel gettarsi a corpo morto nel secondo torneo continentale, che alla fine è coproduttore del ranking Uefa dorato per la Spagna e doloroso per molti altri, a cominciare da noi.La rincorsa impossibile, o quantomeno la riconquista del vasto territorio di campi verdi diventato preda dei Conquistadores parte forse da qui, dalla zona lasciata libera dai Barcellona, dai Real, dagli Atletico e occupata dai loro vassalli di campionato: il Villarreal, quarto in campionato e qualificato alla prossima Champions League, a febbraio ha rimandato a casa subendo reti zero un Napoli che stava abbagliando la Serie A a suon di vittorie e gol. Successi figli di un calcio che, in silenzio, ha migliorato i suoi bilanci privilegiando il mercato interno e i vivai alle spese pazze all’estero: sarà un caso, ma tra le cinque leghe più importanti, la Liga ha meno del 40% di calciatori stranieri, in maggioranza relativa in Inghilterra, Germania, Italia. Chissà se qualcuno inizierà a muoversi su questa traccia: nell’attesa, tutti a vedere i prossimi fuochi artificiali di Spagna persino senza il botto più colorato e rumoroso, il Barcellona: si sono potuti permettere pure questo, i
Conquistadores.