Una rappresentazione realizzata al computer di Cassini intorno al pianeta Saturno (Asi/Ansa)
Non è stata una fine ingloriosa. Anzi, l’ultima tappa del successo di una missione che dai previsti quattro anni è proseguita fino a tredici. Tanto che la conclusione della sua missione è considerato un vero e proprio evento che la Nasa ha battezzato «The Grand Finale». La sonda automatica Cassini ha concluso la più dettagliata esplorazione di Saturno e delle sue lune, e, dopo un segnale impartito da terra al suo “cervello elettronico”, è andata a infilarsi nella sfera gassosa di Saturno come una meteora.
Davvero infaticabile, la sonda Cassini è una delle più grandi mai realizzate e inviate a esplorare il nostro sistema solare, ed è tra quelle che hanno ottenuto i maggiori risultati scientifici. Ma anche tecnologici: la grande antenna parabolica principale, che ha permesso l’invio di dati e immagini senza precedenti del “Signore degli anelli” del nostro sistema planetario, è stata realizzata dall’industria italiana. E la missione è stata realizzata in cooperazione tra la Nasa americana, l’Esa europea e l’Asi italiana. Una missione quindi molto italiana, a cominciare dal nome. Quasi all’unanimità, la missione, che fa parte di un progetto iniziato nel 1982, fu dedicata a Giandomenico Cassini, nato a Perinaldo (Imperia) nel 1625. Astronomo, ingegnere, medico e biologo, Cassini si trasferirà poi a Parigi, dove fu direttore dell’Osservatorio Astronomico. Scoprì quattro delle lune di Saturno e i suoi studi portarono all’evidenza della “divisione” tra gli anelli. I suoi studi non riguardarono solo Saturno (scoprì anche la celebre “macchia rossa” di Giove), ma il suo nome resta legato a queste scoperte pionieristiche.
La sonda Cassini ha inizito il “tuffo” nella gigantesca sfera gassosa di Saturno alle 10.37 (ora italiana); l’ingresso vero e proprio nella coltre atmosferica è avvenuto tre ore più tardi.
È stata una missione ambiziosa, complessa e costosa. Il progetto era iniziato molti anni prima, e come succede spesso per missioni di grande importanza e complessità, prima del lancio trascorre qualche anno. Poi, l’inizio ufficiale di sviluppo della missione, nel 1989. E finalmente, il 15 ottobre 1997 a Cape Canaveral un razzo Titan 4B si lanciava nel cielo della Florida per mettere in orbita terrestre, e poi spedire sulla sua rotta interplanetaria, la sonda Cassini. La sonda al decollo pesava quasi 6 tonnellate e alta all’incirca come una casa di tre piani, anche perché con sé portava un’altra sonda, più piccola, battezzata Huygens, destinata ad atterrare sulla grande e misteriosa luna Titano (che per le sue caratteristiche e storia geologica è più un pianeta che una luna...).
Per raggiungere il sistema di Saturno, Cassini-Huygens ha viaggiato per più di tre miliardi di chilometri. Ma anche l’energia sprigionata con precisione dal possente Titan 4B non era sufficiente a far intraprendere alla Cassini una rotta diretta verso la sua destinazione. Si dovette quindi ricorrere (come per molte missioni di sonde automatiche) a una complessa serie di “rimpalli” planetari, sfruttando gli incontri ravvicinati, dalla geometria perfettamente preordinata con Venere, Terra e Giove per guadagnare la velocità necessaria. Una sorta di “effetto fionda” planetario in grado di fare aumentare la velocità e poi indirizzare il veicolo spaziale verso l’obiettivo.
Gli strumenti scientifici, mantenuti “ibernati” per buona parte della traversata spaziale, dopo un generale controllo sono stati periodicamente ricontrollati nell’ambito delle normali attività di manutenzione e calibrazione, anche se limitati programmi di osservazione sono stati condotti durante i sorvoli di Venere e della Terra.
Le prime immagini di Saturno sono state riprese una ventina di mesi prima dell’arrivo a destinazione da una distanza di 285 milioni di chilometri, ma le osservazioni del sistema sarebbero cominciate solo un anno più tardi, nel dicembre 2003, a una distanza di 111 milioni di chilometri.
L’evento più importante prima dell’entrata in orbita è stato l’incontro con Phoebe, la maggiore delle lune esterne di Saturno, che con i suoi 220 chilometri di diametro percorre un’orbita eccentrica e retrograda, un miscuglio primordiale di ghiaccio, roccia e composti a base di carbonio che ricorda la composizione di Plutone e del satellite di Nettuno, Tritone. Una volta stabilizzata nell’orbita di Saturno, nel luglio 2014, le scoperte sono state numerose: da devastanti cicloni ai poli alla dinamica dei suoi anelli. Dalle scoperte di alcune micro-lune agli studi approfonditi su alcune delle sue lune principali (64, in tutto) a cominciare dalla ghiacciata Encelado con i suoi enormi geyser e oceani sotterranei, centinaia di metri sotto alla sua crosta gelata. Che a questo punto diventa obiettivo di una nuova, futura missione.