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Si intitola Fatti non foste... Come siamo diventati uomini e perché vogliamo rimanere tali (San Paolo, pagine 224, euro 18,00) il saggio dell’antropologo e paleontropologo Fiorenzo Facchini, del quale proponiamo un estratto della postfazione di Giuseppe Lorizio. In queste pagine Facchini conduce il lettore in un viaggio esplorativo in cui scoprirà spunti e aggiornamenti sulla storia della vita e ancora più sorprendenti riflessioni sulla storia dell’umanità. Un’umanità che nell’interrogarsi sul senso della vita attraversa i campi della fede e della filosofia ponendosi le questioni che poi orientano le scelte e il destino.
L’antropologo e paleontropologo Fiorenzo Facchini - -
Una volta recuperata, nella teologia e nel pensiero cattolici, con i dovuti distinguo, la figura di P. Teilhard de Chardin (il “gesuita proibito”) e ricomposta la disputa galileiana grazie al prezioso contributo di Pietro Paschini, peraltro unico autore contemporaneo citato dal Vaticano II, si sarebbe non solo auspicata, ma realizzata un’armonia feconda fra l’orizzonte della fede cristiana e quello della scienza moderna. Tale orizzonte armonico risulta, invece, gravemente compromesso dal diffondersi, non solo fra i credenti, di forme di fondamentalismo, che, purtroppo, i mezzi di comunicazione finiscono col favorire, in particolare con la sempre più invadente diffusione di fake news, da cui si pensava che almeno la cultura occidentale si fosse definitivamente liberata. Così si giunge perfino a riproporre la teoria del terrapiattismo e a diffonderla con energia pari all’ignoranza di chi la diffonde. […] Per quanto riguarda la tematica dell’evoluzione, un’apologetica altrettanto ignorante ha vivacemente contrapposto a tale teoria quella di un Intelligent Design, ispirata a un ingenuo creazionismo e al letteralismo ermeneutico rispetto alle Scritture, che ha trovato seguaci soprattutto nel campo evangelicale e movimentista sedicente credente. Basterebbe uno sguardo al film God’s not dead (2014), con la figura del giovane studente fondamentalista che si oppone in maniera virulenta al docente non credente, che, in nome dell’evoluzionismo, nega la fede nella creazione. Decisamente opportuna risulta quindi la pubblicazione di questo bel libro di Fiorenzo Facchini, che si dedica al rapporto scienza/fede, proprio alla luce del rapporto evoluzione/creazione, con la competenza dell’antropologo e paleontologo e la lucidità del credente e del teologo e filosofo, che esprime la propria posizione con magistrale equilibrio e notevole supporto scientifico. […]
Nel momento il cui il mondo è definito “creato”, esso non è più mitico e si configura nei termini di un’alterità non dualistica in rapporto alla divinità da cui ha origine, ecco che la concezione del cosmo che la rivelazione ebraico– cristiana suggerisce e propone offre un valido antidoto nei confronti di ogni tentazione gnostica storica o ricorrente, riscattando appunto il “cosmo” dall’idea di provenire da una caduta originaria in quella fantasmagoria di cosmogonie e teogonie che i sistemi gnostici sono stati capaci di inventare, ritenendo in questo modo di celare sotto il velo dei racconti mitologici verità accessibili attraverso un cammino di iniziazione solo a pochi eletti. Il trattato sull’Origo mundi, termine con cui si designa per il suo contenuto lo scritto senza titolo NHC II, 5 è particolarmente significativo a questo riguardo, così come si fa portavoce di una concezione fondamentalmente dualistica, descrivendo la materia come il prodotto di un atto psichico negativo dell’ombra: «In seguito» vi si legge, «l’ombra si accorse che c’e- ra qualcosa di più forte di lei. Divenne così invidiosa e partorì subito l’invidia, dopo essersi autofecondata. Da quel giorno in poi si manifestò il principio dell’invidia in tutti gli eoni e nei loro mondi. Quell’invidia si rivelò però essere un aborto nel quale non c’era alcuno spirito (pneuma) divino. Essa nacque come ombra (intorbidamento) in una grande sostanza acquosa. Dipoi l’odio (invidia) nato dall’ombra fu gettato in una regione del Caos... Come nel caso di colei che mette al mondo un bimbo e sta attenta a espellere tutto il resto inutile, così la materia uscita dall’ombra, fu gettata in una regione del Caos e non uscì più fuori dal Caos».
Aggiungiamo così un ulteriore momento di riflessione intorno al legame creaturale caratterizzante la concezione del “cosmo” propria della rivelazione ebraico–cristiana, avendo occasione di mettere in luce come la fede nel Dio creatore, mentre esclude certamente una visione teogonica e cosmogonica delle origini, si distanzia per la propria peculiarità sia da una visione emanazionista del rapporto Dio mondo sia dall’idea di una possibile generazione del mondo dal soprannaturale (rapporto di generazione che è invece riservato a designare il legame fra Padre e Figlio). Scrive Franz Rosenzweig: «L’atto creatore, secondo la fede della rivelazione, pone in libertà fuori di sé... qualcosa di durevolmente necessario, è quindi affermazione del mondo: la creazione è creazione del mondo... Solo l’idea di creazione strappa il mondo dalla sua chiusura e dalla sua immobilità di elemento e lo immette nella corrente del Tutto, apre verso l’esterno i suoi occhi prima rivolti all’interno, rende manifesto il suo mistero» (La Stella della redenzione). […] Concepita così teologicamente e, se si vuole, filosoficamente, la creazione, non è difficile notare come essa non confligga affatto con l’evoluzione, né come quest’ultima non possa negarla in quanto tale. Sul piano propriamente antropologico, Facchini evoca, grazie a Teilhard e a Rahner la tesi dell’ominizzazione, mostrando, con equi – librio e competenza come essa vada intesa e interpretata sia nella direzione della continuità dell’essere umano rispetto agli altri viventi, sia in quella della discontinuità e del salto, inscritto nel dinamismo stesso del processo evolutivo e, in quanto creato, voluto e perseguito da Dio stesso. Ma è interessante altresì sottolineare come tale salto qualitativo venga dall’autore attribuito già alla figura dell’Homo habilis.
E tale suggestiva prospettiva, ci porta a riflettere sul grande tema della tecnica e della cultura, ovvero sul rapporto fra natura e cultura, che trova nella persona umana il suo incrocio fondamentale. Sempre in tale prospettiva e grazie ad essa, opportunamente si riflette sull’ulteriore e fecondo rapporto fra evoluzione biologica ed evoluzione culturale. Infine, un’ultima, ma non marginale, sottolineatura concerne la visione monogenistica, in particolare in relazione alla tematica del peccato originale. Facchini è ben consapevole della complessità della questione e dei pronunciamenti del Magistero a riguardo. Una via di accesso e forse di uscita dal dilemma monogenismo/ poligenismo potrebbe essere individuata nella diffusione del peccato al genere umano (quindi la sua universalità) non solo per via diacronica (siamo peccatori in quanto provenienti dall’unica coppia che ha commesso il primo peccato), ma anche per via sincronica. Un’analogia con la diffusione del virus può forse aiutare a comprendere come il peccato finisca con l’infettare l’intera umanità e far sì che ciascun essere umano ne sia colpito, in quanto solidale con l’intero genere cui appartiene: appunto l’umanità. La teologia è chiamata ad approfondire ulteriormente questa tematica onde conciliare il dato di fede con la prospettiva evolutiva e le recenti acquisizioni della scienza. Del resto, il testo fondamentale di Romani 5,12 presenta chiare analogie con la diffusione di un virus spesso letale nel contesto che oggi definiremmo globale: «Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato ». Ed è così anche dell’antivirus ovvero della giustificazione operata dal nuovo Adamo, Gesù Cristo, salvezza che non ci raggiunge solo diacronicamente, ma anche sincronicamente, in quella misteriosa contemporaneità col Redentore che viviamo sacramentalmente.