Sette capitoli come i sette giorni della Creazione, sette stazioni per altrettante domande sulla santità. La santità degli uomini che, nella loro imperfezione, sono chiamati a completare su questa terra l’opera divina. Uomini e donne che rispondono ai nomi di Giuseppe Cafasso, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giulia Colbert di Barolo, Giovanni Bosco, Leonardo Murialdo, Leonardo Faà di Bruno. Questo lo schema in cui in un’ora e mezza si dipanerà sul palco la rivoluzionaria avventura dei cosiddetti “santi sociali”, raccontata da quella grande affabulatrice che è Laura Curino (quella di
Adriano Olivetti e Bakhita). L’autrice e attrice, insieme a Anagoor Teatri e al regista Simone Derai, ha preparato lo spettacolo
Santa impresa, prodotto dal Teatro Stabile di Torino in occasione del bicentenario della nascita don Bosco., che debutterà al Teatro Gobetti il 19 maggio per restare in scena sino al 7 giugno. «Nessuna regione come il Piemonte – spiega Laura Curino, nata e cresciuta all’ombra della Fiat dove il papà lavorava come operaio – ha avuto tra il 1811, l’anno in cui nasce san Giuseppe Cafasso, e il 1888, l’anno in cui muore don Bosco, una così alta concentrazione di vite straordinarie che hanno scelto i poveri e per loro si sono impegnati in imprese che hanno lasciato un segno nelle loro vite e nella città: convitti per i giovani, ospedali per i malati, scuole e cortili per i ragazzi». La Curino racconterà quindi «la genesi di un mondo nuovo, una santità radicata nelle vite delle persone». In scena si racconta, suddivisa per giorni dal lunedì al venerdì, una loro competenza: il primo giorno c’è il carcere; il secondo è il giorno dei malati; il terzo quello della nuova terra che emerge, ovvero il Risorgimento, le bonifiche, l’industria; il quarto è il giorno delle donne e del tempo, «con l’orologio del campanile di Faà di Bruno, visibile su 4 lati, perché gli operai non venissero frodati su orario» spiega l’autrice; il quinto si raccontano i sogni e l’infanzia di don Bosco; il sesto la cura dell’uomo e il Cottolengo; il settimo la contemplazione, «Don Bosco che ha conosciuto tutti gli altri santi, alla fine della vita raccoglie da tutti gli insegnamenti e li trasforma nella sua meravigliosa opera per i ragazzi che sono il cuore della sua missione». Un’opera condotta, dice l’autrice, «con pudore, lontana da ogni agiografia. Le domande sulla santità ci sono, ma sono troppo grandi per me. Io faccio parlare le azioni». È questo affascinante intreccio fra spirito e scienza, fra fabbrica e studio, sopruso e giustizia, oscurantismo e libera circolazione delle idee a nutrire alcune delle imprese di “bene” più intense ed interessanti della nostra storia, che si sono diffuse in tutto il mondo. «Mi sono occupata decine di volte di imprese a partire da Olivetti – aggiunge la Curino –. Stavolta volevo occuparmi di impresa “santa”, in questo momento di crisi dell’impresa e della società, dove c’è la preoccupante tendenza a nascondere i poveri sotto il tappeto e a imputare a loro la propria povertà. Esattamente come accadeva nell’800». E ancora oggi, di fronte al fallimento di un modello di finanza «rapace» e di industria «pesante», si vira verso modelli di economia più sostenibili, ma «abbiamo bisogno di figure di riferimento. Il mio don Bosco è diverso dalle foto dove appare serafico e gentile. Il mio è un don Bosco furioso, con un’energia debordante, una voglia di fare e una grande capacità». Contro la cultura dello scarto e la povertà, un po’ come papa Francesco no? «Papa Francesco è un altro a cui l’energia non manca – aggiunge la Curino – . Ed ha ragione. È sconvolgente che i poveri siano considerati una massa, che vengano privati della capacità di pensiero. Murialdo aveva già intuito tutto quando scriveva: “Arriva una nuova industria basata su una concorrenza senza morale e intanto la popolazione operaia non migliora la sua condizione sociale, i poveri sono sempre più poveri e alimentano sentimenti di odio contro la società”». Questo spettacolo sottolinea che «le imprese che funzionano oggi in Italia sono quelle basate sulla ricerca e l’innovazione, le imprese dove la persona è al centro del processo produttivo. È necessario un cambiamento di pensiero, non puoi delocalizzare se altrove costa meno e mollare le persone che ti hanno servito fino ad oggi. Per fortuna – conclude – anche oggi ci sono tanti santi, i santi sono quelli che “fanno” a favore degli altri, esattamente come don Bosco e i suoi amici».