L’azzurro Jannik Sinner, 22 anni, vittorioso a Pechino, numero 4 del mondo come Panatta nel 1976 / Reuters - Reuters
Nel 1976 si giocava ancora con le racchette di legno. Adriano Panatta vincendo a Roma e Parigi diventava il numero 4 del mondo. Da allora nessun azzurro era riuscito più a eguagliare questa posizione nell’era Open, da quando cioè nel 1973 è entrata in vigore questa classifica basata su un sistema di calcolo computerizzato. Abbiamo dovuto attendere quarantasette lunghissimi anni prima che un ragazzo dai capelli rossi e dal talento purissimo ci riportasse proprio come Panatta tra i primi cinque tennisti del ranking mondiale. Jannik Sinner non ha certo bisogno di presentazioni. Il 22enne altoatesino ha già bruciato molte tappe. Al torneo Atp 500 di Pechino però ha fatto un altro salto verso l’olimpo dei più grandi. Battendo prima lo spagnolo Alcaraz (n.2 Atp) con un secco 7-6 6-1 e poi in finale Medvedev (n.3 Atp) 7-6 7-6 conquistando allo stesso tempo la quarta piazza nella classifica mondiale del tennis. Proprio come Panatta che di anni però ne aveva 26 mentre lui appena 22. Prima dell’attuale ranking Atp, solo un azzurro nella storia del tennis è riuscito a fare meglio: Nicola Pietrangeli, capace di conquistare due edizioni di fila, 1959 e 1960, del Roland Garros che gli valsero il terzo posto mondiale, quando le gerarchie erano stabilite dalle varie federazioni nazionali e dagli organizzatori dei tornei.
Dai monti dell’Alto Adige al cemento di Pechino, ne ha fatta di strada “Jannik il rosso”, originario di San Candido ma cresciuto a Sesto Pusteria in provincia di Bolzano. Quasi 190 centimetri di altezza, gambe lunghe e magrissime, il primo avversario da battere per Sinner è sempre stato il suo fisico esile, causa già di non pochi ritiri. Perché quando sta bene anche un fenomeno come Alcaraz non riesce a tenergli testa. Il fuoriclasse spagnolo, di quasi due anni più giovane, sembra destinato a dominare le scene nei prossimi anni e ha già messo in bacheca due trofei dello Slam (Us Open e Wimbledon). Eppure a Pechino si è dovuto inchinare all’azzurro vittorioso 7-6 (4), 6-1. Malgrado siano giovanissimi, Carlos e Jannik si sono incontrati, già sette volte, per una rivalità che sembra destinata a ricalcarne altre che hanno fatto la storia del tennis. Un dualismo sano e sempre spettacolare con l’azzurro che ora conduce 4-3. Con la stessa scioltezza si è sbarazzato in finale di Medvedev, sfatando il tabù dei precedenti con il russo vittorioso sei volte su sei.
E dire che Sinner non era affatto favorito alla vigilia. Nei quarti aveva sì battuto Dimitrov ma palesando plateali problemi di stomaco: addirittura rischiando di rigettare in campo, salvato da un provvidenziale bidone in un’immagine che ha fatto il giro del mondo. E invece a Pechino Jannik ha mostrato una solidità fisica sorprendente, mettendo in bacheca il 9° titolo Atp della sua carriera, il terzo di questo 2023 dopo Montpellier (250) e Toronto (Masters 1000). Solo una formalità è ora la qualificazione anche alle Atp Finals di Torino, il torneo riservato ai migliori otto del circuito (gli mancano appena 30 punti). Senza dimenticare la sua scalata in classifica: «È davvero bello diventare n.4 ma in realtà sono più orgoglioso di come ho migliorato il mio livello quest’anno». Dopo le tante critiche ricevute per i suoi forfait in Coppa Davis sono arrivati anche i complimenti di Panatta: «Sinner mi ha eguagliato. Non ci crederete ma sono molto contento... Adesso, quando lui mi supererà, perché lo farà sicuramente, dico già adesso che sarò ancora più contento». Un bel passaggio di consegne per un tennis italiano che dopo quasi mezzo secolo può di nuovo puntare in alto. Mai nessun azzurro è riuscito a raggiungere la testa della classifica. Ma il ragazzo dal sorriso timido e dalla chioma rossa fa sognare.