Sinner e Djokovic al termine della partita di ieri sera a Torino - FOTOGRAMMA
Essere o non essere all’altezza di Novak Djokovic. Questo era il dilemma. Ci sono volute poco più di tre ore di gioco ieri sera alle Finals di Torino per venirne a capo, in quella che si presentava come la sfida più amletica degli ultimi mesi di tennis. Ora, però, tutti i dubbi sono svaniti. Il trionfo ha spazzato via anche le ultime briciole. Jannik Sinner ha finalmente battuto anche il campione serbo. La penultima figurina mancante, si fa per dire, per completare il suo album di vittorie contro i primi della classe. L’ultima proverà a conquistarla domani sera alle ore 21 con Rune (2-0 i precedenti per il danese), sfida decisiva per il passaggio del turno. Quella di Djokovic, però, era la più rara, la più prestigiosa. L’incontro si è risolto in tre set. 7-5, 6-7, 7-6 il punteggio a favore dell’italiano.
Quasi tre atti di un dramma teatrale, il cui finale, dopo il secondo set, sembrava ripercorrere il solito canovaccio già visto e rivisto parecchie volte con Nole. Il serbo, come il più abile degli illusionisti, ti lascia credere di essere ferito a morte, facendoti assaporare il gusto della vittoria. Ma poi, proprio sul più bello, si rialza, aumenta il livello e ti fulmina. Ti lascia pietrificato, a rimuginare sulla possibilità sprecata, che era proprio lì, a portata di mano. Anzi, di racchetta. Un’opera diretta magistralmente più e più volte dal numero uno del mondo. Anche ieri sera, a partire dall’inizio del secondo set, Nole era sembrato entrare nella modalità “Vivi e lascia morire”. Ma stavolta Sinner è riuscito a sopravvivere, portando a casa una vittoria che certifica con tre stelle Michelin i miglioramenti di questo ultimo anno. Fisici in primis: non si può prevalere su Novak Djokovic al terzo set, dopo una battaglia durata più di tre ore, se non sei al top fisicamente, in particolar modo dopo le fatiche di un’intera stagione. E lo stesso Sinner lo ha confermato in conferenza stampa dopo la partita. Lo step, però, è evidente anche dal punto di vista mentale. La vittoria di Toronto di quest’estate e i successi di Pechino e Vienna sembrano averlo sbloccato definitivamente. La dimostrazione è tutta in come ha giocato i punti importanti. Su tutti il dodicesimo game del primo set, quando doveva servire per conquistare il primo parziale. E il tiebreak finale del terzo set, dominato per sette punti a due. Di personalità, senza paura, consapevole dei propri mezzi. Decisivi, infine, sono stati i miglioramenti dal punto di vista tecnico. Frutto dell’immensa voglia di migliorare e del lavoro di Vagnozzi e Cahill.
Il servizio adesso è diventato un’arma letale, come si è visto nel sesto game del primo set, quando il possibile break del serbo è stato allontanato con un ace e con un servizio vincente. Inoltre, la seconda palla è diventata quasi offensiva. La risposta è da dieci a lode. Da manuale quella di dritto nel secondo punto del tiebreak finale. Alla Djokovic, contro Djokovic. E poi ci sono le piccole, ma importantissime variazioni sul tema che ha aggiunto al suo gioco. Come lo slice, usato alla perfezione sul 5/5 del terzo set per rallentare il ritmo dello scambio ed entrare con il dritto vincente lungo linea. E le smorzate, non un puro esempio di estetica, ma diventate molto efficaci.
Contro questo Sinner non ha potuto niente Novak Djokovic. Durante la partita ha provato più volte a snaturarsi, cercando di adattarsi al gioco dell’italiano. È venuto spesso a rete, ha provato a comandare il gioco per primo, cercando anche di provocare il pubblico. Ma, stavolta, il camaleonte per eccellenza non è riuscito a trasformarsi. La volpe rossa è stata più scaltra.
“È stato come andare sulle montagne russe”, ha dichiarato Jannik a fine partita. Il match è terminato, ma l’impressione è che la giostra targata Sinner & Co abbia solo appena cominciato a girare.