Un crocifisso in un'aula scolastica - (Archivio Ansa)
Si fa presto a dire laicità, separazione tra Stato e Chiesa o tra Stato e religione. Ma anche senza scomodare il compianto giurista tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde e il suo mirabile detto «lo Stato liberale, secolarizzato, vive di presupposti che esso di per sé non può garantire», per capire che siamo di fronte a un dilemma basta considerare un singolo aspetto del tema: i simboli religiosi nello spazio pubblico. Per esempio, a fronte di costituzioni “ineccepibili”, di Paesi tra l’altro membri dell’Unione Europea, un’occhiata più da vicino al ruolo dei simboli religiosi nell’Europa dell’Est offre qualche sorpresa e qualche spunto di riflessione.
In Romania, per dire, la croce non è solo ben evidente nello stemma nazionale, cosa abbastanza frequente, ma lo è anche nell’inno nazionale che recita così: «Sacerdoti con la croce, avanti! Ché l’esercito [romeno] è cristiano». In Polonia la presenza di crocifissi nelle scuole pubbliche fu stabilita con un’apposita circolare subito dopo la caduta del Muro di Berlino, nel 1990. Nel 1997 è stato apposto un crocifisso anche nell’aula dell’assemblea parlamentare, la cui presenza è stata ri-approvata nel 2009. In Lituania nel 2013 il comune di Vilnius ha deciso con una delibera passata all’unanimità di installare in municipio una grande effigie di Cristo con corona e spada, come pubblica intronizzazione di Cristo Re dell’Universo. Un ricorso contro l’iniziativa, per presunta violazione del principio di laicità dello Stato, presentato al Tribunale distrettuale di Vilnius è stato respinto. Significativa la motivazione della locale Corte d’appello: la delibera in questione aveva una valenza essenzialmente socio-culturale e l’esposizione dell’immagine di Cristo Re non aveva causato il turbamento di alcun cittadino. Insomma, si tratta di un simbolo che parla della storia e dell’identità di un popolo e il passato non si può oscurare. Il confine tra culturale e religioso, per un simbolo, è tutt’altro che univoco.
Queste informazioni le prendiamo da un libro uscito da poco e scritto da Stefano Testa von Bappenheim, docente di Diritto ecclesiastico e di Diritto dei Paesi islamici all’Università di Camerino. È un lavoro monumentale in cui viene tracciato un quadro delle controversie sui simboli religiosi con relativa comparazione dei sistemi giuridici interessati, soprattutto nello spazio europeo ed americano, anche se il tema, come specifica l’autore, è globale.
È una ricerca di taglio accademico ma che anche al profano può tornare assai utile come una sorta di dizionario enciclopedico sull’argomento, da cui trarre dati che stuzzicano la curiosità e non solo.
Tornando all’esempio di prima, se l’uso dei simboli religiosi nell’Est Europa può sembrare ad alcuni una reazione ai decenni di ateismo imposto, può essere utile ricordare che ci sono ancora ben sette Paesi europei che hanno in costituzione l’indicazione di una religione di Stato.
E se si eccettuano Grecia e Bulgaria, gli altri non solo sono nella parte ovest dell’Europa, ma sono anche Paesi considerati tra i più secolarizzati del continente e del mondo: Danimarca. Norvegia, Islanda, Finlandia e Gran Bretagna. Religione di Stato implica ovviamente una simbologia religiosa nella sfera civile, ufficiale.
Il caso più intrigante resta quello della Gran Bretagna, dove per esempio il rito di incoronazione della Regina contiene formule che prese in sé farebbero gridare al «Medioevo » qualsiasi laicista della domenica. Eppure – questo ci porta a pensare lo studio di Testa von Bappenheim – se anche in Paesi dove il cristianesimo è ormai un fenomeno del tutto residuale si sceglie di non recidere il legame simbolico con esso, vuol dire che il bisogno di certi simboli è più essenziale di quanto una giurisprudenza algida riesca spesso a comprendere.
Stefano Testa von Bappenheim
I simboli religiosi nello spazio pubblico Editoriale Scientifica. Pagine 948. Euro 60,00