venerdì 26 luglio 2019
La mostra ai Musei Capitolini apre una ricerca da cui emergono i rapporti del pittore con l’archeologia e il passato. Le sue scelte ebbero una influenza su Raffaello e Michelangelo
Luca Signorelli, «Madonna col Bambino» (1505-1507)

Luca Signorelli, «Madonna col Bambino» (1505-1507)

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Non sono solo i colpi di spugna del Tempo a far cadere nell’oblio la memoria di certi artisti. Talvolta, ci si mette pure il gusto che cambia. Lo spiegava già padre Dante «…credette Cimabue… tener lo campo / e adesso Giotto ha il grido… ». È quel che accadde a Luca Signorelli che finì per soccombere in una lotta impari con Michelangelo e Raffaello. Uno stato di cose, certificato dai manuali di Storia dell’Arte dei Licei dove al povero Signorelli dedicano sempre poco spazio, come se si dovesse correr subito a glorificare i due colossi del Rinascimento. Eppure, se non ci fosse stato questo artista cortonese, il Rinascimento non sarebbe stato lo stesso e, forse, neppure i due sommi artisti avrebbero avuto gli stessi risultati. È quanto cerca, riuscendoci, di dimostrare, fra le righe, una bella mostra – la prima dedicata all’artista a Roma – da poco aperta a Palazzo Caffarelli (Musei Capitolini). Il motivo di questo assunto critico è semplice: Signorelli lavorò anche a Roma e qui portò una declinazione stilistica di plasticità e vigoria che non passò inosservata. Per questo motivo il titolo dell’esposizione è: Luca Signorelli e Roma, col sottotitolo che riflette la sua fortuna critica: Oblio e riscoperte. Il nocciolo centrale del percorso espositivo (e non poteva essere diversamente, visto il profilo della figura del curatore, Claudio Parisi Presicce, archeologo di chiara fama nonché già Sovrintendente Capitolino e già Direttore dei Musei Capitolini, qui validamente affiancato dalla cocuratrice Federica Papi, storica dell’arte di rango) è quello del rapporto fra Signorelli e l’antico. È uno degli aspetti di congruenza fra il pittore di Cortona e i due grandi del Rinascimento. In particolare, con grande acume, la mostra pone in luce come l’artista conoscesse una delle statue più amate nell’immaginario rinascimentale, fra quelle delle collezioni capitoline: quello Spinario che aveva già affascinato Ghiberti e che Signorelli utilizzò come modello del neofita dipinto sullo sfondo del Battesimo di Cristo (esposto) proveniente dalla Collegiata di San Medardo ad Arcevia.

La figura maschile che si prende il piede, è poi citata alla lettera nella pala (esposta) dell’Alte Pinakothek di Monaco nota come Madonna col Bambino e un nudo maschile. Uno dei punti di forza della mostra, al di là della qualità e bontà del progetto scientifico, sta nell’importanza dei prestiti ottenuti non solo da collezioni italiane ed europee, ma pure da quelle d’Oltreoceano come la tempera su tavola del Metropolitan Museum di New York. Bella come una miniatura, tutta racchiusa nel suo ricco tabernacolo, la Madonna col Bambino è caratterizzata da una serie di simpatici angioletti in pose plastiche disegnati, sullo sfondo dorato, fra girali e orbicoli. Il che conduce all’altro tema che lega Signorelli agli altri grandi del Rinascimento: lo studio dell’anatomia. Non per nulla in mostra, sia pure riprodotti in foto retroilluminate, ci sono gli affreschi della Cappella di San Brizio a Orvieto. Il tema del Giudizio Universale, infatti, fu per Luca l’occasione per dimostrare tutte le sue capacità disegnative collocando la figura umana nuda nelle pose più ardite che anticiparono di quarant’anni quelle che Buonarroti avrebbe concepito per la grande parete sistina.

Non si tratta, però, di riflessioni critiche astratte per considerare il rapporto con Michelangelo e Raffaello sotto un mero profilo stilistico. Signorelli condivise il soggiorno a Città di Castello, con il giovane Sanzio che lo venerava come un maestro. Di Luca, Raffaello studiò le opere e copiò i disegni. Il rapporto personale con Michelangelo, invece, fu in apparenza più tardo, stando ai documenti che abbiamo, ma fu necessariamente più antico di quel 1513, quando Signorelli tornò nuovamente a Roma all’indomani dell’elezione di Leone X. Sperava nel sostegno del papa che, però, non glielo accordò, costringendo il pittore a chiedere un prestito al maestro. Il che rivela un’intimità di rapporto che amplia i termini cronologici a un’amicizia assai precedente. Del resto, è certo che anche il divino Buonarroti guardò agli affreschi di Orvieto già nel corso dei lavori per la volta della Sistina. Non solo, ma come giustamente spiega il curatore nell’Introduzione al catalogo (De Luca Editore), a unirli erano anche certe letture teologiche come il Iudicium Dei di Giovanni Antonio Sulpizio di Veroli che, come ha dimostrato chi scrive, è stato la principale fonte letteraria del Giudizio di Buonarroti. La mostra, poi, prende in considerazione altri due aspetti: l’ambiente della Roma di Sisto IV per il quale Signorelli, sotto la direzione di Perugino (1482), lavorò al ciclo della Cappella Magna, come si chiamava allora la Sistina, e l’influenza che l’arte del pittore cortonese ebbe sulla pittura del XX secolo. Pertanto, la mostra è un bel biglietto da visita che inaugura il nuovo corso della Soprintendenza Capitolina, ora retta da Maria Vittoria Marini Clarelli, nel segno della continuità dell’alto livello scientifico e della spettacolarità.

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