È un pallino che ha in testa da anni Jean Todt, presidente della Federazione Internazionale dell’Automobile, a proposito della relazione fra le corse e la strada, soprattutto in materia di sicurezza. Si batte da anni per trasferire poi su strada quello che si è imparato, eppure, come dimostra l’incidente di Jules Bianchi domenica scorsa nel GP del Giappone, per quanto si faccia, non basta mai. Il concetto base è uno solo: se in pista si va forte e si rispettano le regole, non si capisce perché su strada, dove si va meno forte, non si possa fare lo stesso e salvare delle vite.
Ogni anni nel mondo 1,3 milioni di persone muoiono e 50 milioni restano ferite in seguito ad incidenti stradali. Cosa si può fare per frenare questa strage?«Fondamentale è coinvolgere i grandi organismi internazionali. L’Onu ad esempio investe somme ingenti per combattere malattie come Aids, Ebola o altre che causano molte meno vittime, mentre non fanno nulla per questa emergenza».
Il comportamento corretto di chi guida però rimane fondamentale...«Certo. Quando si parla di vittime della strada, invece, dipende solo da noi e dal comportamento che manteniamo, della mancanza di rispetto verso pedoni e ciclisti e delle regole elementari. In Italia, abbiamo 3600 morti l’anno, molti meno rispetto al passato ma sempre troppi. E lo dobbiamo principalmente alla mancanza di rispetto delle norme basilari. Su questo possiamo intervenire e se un pilota, una competizione, sono un esempio, devono esserlo positivo per far capire, specie ai giovani, che la pista è una palestra di vita, dove anche andando veloci tutti devono rispettare le regole».
A Monza, nei giorni del Gran Premio, lei ha parlato anche di un altro aspetto che miete tante vittime, il “colpo di sonno”... «Sì, oltre il 20% dei morti sono dovuti a questa patologia di cui molti soffrono ma non ne sono consapevoli. Riferendosi all’Italia si tratta di 800 vittime dovuti a questa patologia che colpisce all’improvviso e non lascia scampo. Dobbiamo lavorare per limitare le vittime e conoscere anche questo fenomeno».
Quando si parla di circuiti si parla anche di infrastrutture, negli ultimi anni sono migliorati e cambiati, invece le nostre strade non sempre sono a questo livello… «In Formula 1 quello di Bianchi è il primo incidente grave da 20 anni a questa parte. Il travaso alle auto stradali delle tecnologie che garantiscono l’incolumità dei piloti in F.1 è fondamentale. Per quanto riguarda le strade invece, molto dipende dai governi e dai loro investimenti. In alcuni paesi la situazione è buona, in altri meno. Diciamo che sotto questo aspetto si può fare molto, non solo per la sicurezza ma anche per le nuove forme di mobilità, penso a quella elettrica, che necessita di apposite strutture».
Quest’anno in Formula 1 ci sono i motori ibridi, con la stessa potenza di quelli dell’anno scorso, ma con consumi più bassi del 40 per cento…«Avere la stessa potenza dei motori e consumare il 40% meno vuol dire che domani possiamo trasferire sulle strade questi concetti. È una rivoluzione importante per la diminuzione dell’inquinamento, delle cilindrate più piccole dei motori e per la durata delle batterie. Peccato che questa rivoluzione, così importante per le Case auto e per la salute dei nostri figli, non sia stata divulgata in maniera corretta e come avrebbe dovuto essere, invece si parla di “formula noia” e altro ancora, dimenticandosi che abbiamo auto potenti, quasi più veloci di quelle dell’anno scorso, meno inquinanti e con meno consumo».
E poi è partita la Formula E, la serie con monoposto elettriche…«È una nuova sfida. Importante per tutti. A Pechino c’è stata la prima gara, vedremo come evolverà, ma anche in questo caso abbiamo il dovere morale di sostenere questa nuova serie, che propone una mobilità che potrebbe essere il futuro delle nostre città».