mercoledì 25 settembre 2013
Il Centro sportivo italiano ad Haiti per formare tecnici e far giocare i bambini. La proposta del presidente Achini: il sogno? Aprire una sezione di servizio internazionale. (Massimiliano Castellani)
Seminare sport, amicizia e pace: il sogno del Csi di Umberto Folena
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Ci sono due termini che ricorrono costantemente parlando con il presidente Massimo Achini, e questi sono «sfida» e «utopia». La sfida è quella che porta avanti da sei anni alla guida del Csi (Centro sportivo italiano) assieme ai comitati nazionali sparsi da nord a sud in 144 città. Oltre 13mila società sportive e da poco è stato superato il muro-record del milione di tessere associative. «Siamo la prima associazione cattolica per numero di tesserati e grazie a quel milione di persone che si sono legate al Csi ci sentiamo sempre di più degli artigiani dell’educazione che operano attraverso lo sport». L’utopia sta proprio nel portare con lo «spirito artigianale» le tute arancioblù del Csi in tutti i campetti più remoti d’Italia, per poi sconfinare fino a quello che Achini considera il «quarto mondo», Haiti. «Il Csi per la quinta volta è volato a Port-au-Prince, la capitale di Haiti, e quando si arriva lì la prima domanda che ci si pone è: come sia possibile che nel terzo millennio migliaia di persone possano ancora abitare e sopravvivere in luoghi del genere?». Risposta non c’è. Così come cala il silenzio spaventoso dinanzi alla violenza cieca e dilagante che si consuma in una città come quella haitiana che conta una popolazione inferiore a quella del Csi, 800mila abitanti. Ad Haiti, oltre alla miseria secolare si è aggiunta anche quella del post-terremoto del gennaio 2010 che ha coinvolto 3milioni di persone e causato 225mila morti accertate. Al volontariato che in questi tre anni è giunto da un po’ tutto il mondo, si è aggiunto quello «utopico, ma concreto» del Csi che da Port-au-Prince ha lanciato l’ennesima sfida: il «volontariato sportivo internazionale».Presidente Achini, spieghiamo di cosa si tratta.L’idea di base è quella di portare ciclicamente dei nostri giovani a svolgere un periodo di “servizio civile” volontario all’interno dello sport. Da dieci anni il Csi è presente con progetti di cooperazione e solidarietà nelle periferie italiane (l’ultimo: il campo di gioco dell’oratorio napoletano di don Guanella a Scampia) nella Repubblica Centroafricana, in Albania e Camerun, ma l’obiettivo o l’utopia, è riuscire ad arrivare in tutte le periferie del mondo con i nostri volontari.Cominciamo dalla sfida appena lanciata ad Haiti.Questa estate, per tre settimane, in collaborazione con la Caritas, Fondazione Francesca Rava, gli Scalabriniani e con il patrocinio del ministero dello Sport, ci siamo presentati a Port-au-Prince con 13 giovani tecnici di calcio e pallavolo del Csi e quattro docenti. Abbiamo donato oltre 60 scatoloni contenenti materiale sportivo (palloni, scarpe, tute, maglie) e organizzato un corso di una settimana - 8 ore al giorno -, per “allenatori oratoriali”.Risultato finale della “missione sportiva”?Sono stati formati 100 tecnici di base di calcio e pallavolo e abbiamo coinvolto 140 animatori locali. Ma il risultato più straordinario è stata la “Prima giornata nazionale dello sport di Haiti” che siamo riusciti a promuovere.Una piccola Olimpiade haitiana?Molto di più. Oltre 2mila bambini di strada si sono ritrovati allo stadio Silvio Cator per giocare liberamente e sottolineo, senza nessun pericolo, per quasi tutto il giorno. Una festa dalle emozioni intense, commovente. Un’esperienza che ha smosso le coscienze del governo: nell’occasione il ministro dello sport ha annunciato che nel loro disastrato sistema di pubblica istruzione da quest’anno lo sport diventa obbligatorio in tutte le scuole del Paese.Un’altra sfida vincente a firma Csi.Sì, ma anche la conferma che lo sport moltiplica le potenzialità educative e aggregative. E la riprova l’abbiamo avuta con il torneo disputato nello “stadio che non c’era”.Siamo passati dall’utopia alla favola?In effetti solo di favola si può parlare se da una spianata di rifiuti i nostri volontari e i ragazzi dell’inaccessibile bidonville di Cité Soleil – dove le bande armate ci hanno permesso di entrare – si è riusciti ad organizzare un regolare torneo di calcio che per qualche giorno ha spazzato via quella cappa di cupo terrorismo che aleggia sopra le baracche di questi “ultimi” della terra.Un momento di normalizzazione importante, ma adesso come proseguirà la vostra sfida?Continuerà ad ottobre con il viaggio in Italia di due dei migliori allenatori haitiani che abbiamo formato e che verranno a fare uno stage nelle nostre società oratoriali. Li accompagnerà la delegazione del premier Michel Martelli che tra l’altro è un appassionato di calcio e ha una sua squadra che a marzo 2014 vorrebbe sfidare una rappresentativa di vecchie glorie della nazionale italiana.Il presidente del Coni Malagò ha premiato i vostri 13 ragazzi come giovani Ambasciatori dello sport. Ma il “servizio civile sportivo” non potrebbe essere steso ad altri giovani ricchi e famosi come i Balotelli e ai campioni dello sport nazionale?Intanto dobbiamo solo dire grazie a quei 36 giovani che negli ultimi due anni sono venuti - a spese loro - ad Haiti. Il sogno e l’obiettivo è quello di aprire una vera sezione di servizio civile internazionale attraverso lo sport. Questo farebbe il bene di migliaia di bambini dei Paesi in via di sviluppo e il bene di centinaia di giovani italiani che hanno bisogno di vivere esperienze vere e forti della vita. Da soli non ce la possiamo fare. Perciò, oltre a quello economico, è necessario il supporto ideale e morale di tutto lo sport italiano, dal Coni di Malagò alla Lega Calcio, dall’Assocalciatori all’Assoallenatori. Piccoli e grandi del calcio e della galassia olimpica, tutta, devono credere in questa grande possibilità educativa che viene dal volontariato e dal servizio civile nello sport.
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