Una delle “fisarmoniche” testuali (“paperolles”) della “Recherche” - Fondo Proust © BnF
Prima di divenire un monumento letterario mondiale, la Recherche di Proust fu, materialmente, pure un “castello” di fogli e ritagli testuali fra loro assemblati, talora a fisarmonica, un po’ come accade con i disegni e collage di certi bambini. Un vero dedalo di carta in mezzo al quale l’autore beneficiò pure dell’aiuto di altre mani premurose, pronte a riordinare e incollare i tasselli. Su questi metodi poco noti si sofferma adesso la mostra rivelatrice "Marcel Proust. La fabrique de l’oeuvre" (fino al 22 gennaio) voluta a Parigi alla Biblioteca nazionale di Francia (Bnf) per commemorare il centenario dalla scomparsa del creatore del ciclo Alla ricerca del tempo perduto. L’autore lo ammetteva: «I miei libri sono una costruzione, ma con un’apertura di compasso abbastanza estesa, in modo che la composizione, rigorosa e a cui ho sacrificato tutto, sia abbastanza lunga da scoprire. Non lo si potrà negare quando l’ultima pagina del Tempo ritrovato si richiuderà esattamente sulla prima di Swann». E quest’ideale dell’incastro non si limitò astrattamente solo all’intreccio narrativo. Lo provano, sul piano materiale, le cosiddette paperoles, dei serpentoni di fogli fra loro assemblati dopo opportuni tagli. Ogni linda pagina proustiana stampata scaturisce in realtà da foreste agitate di grafemi manoscritti spazzati dai venti di frequenti revisioni. Un metodo, in fondo, coerente con la vocazione letteraria assoluta di Proust: «La vita vera, la vita finalmente scoperta e tratta alla luce, la sola vita quindi realmente vissuta, è la letteratura». La quale, dietro ogni eleganza apparente, cela ripensamenti e ricorsi come ogni vita davvero vissuta, anche per un autore con una reputazione personale di raffinato gentiluomo della Parigi più privilegiata. Uno dei pregi maggiori della mostra consiste nel rivelare un Proust molto meno “apollineo” di quello ancor oggi immaginato da tanti lettori.
Così, colpisce il contrasto fra le selve di cancellature e i cespugli di nuove varianti testuali, da una parte, e l’uomo inappuntabile e azzimato presentato ad esempio nei ritratti di Jacques-Émile Blanche. In tutto, sono esposti 350 oggetti, lungo un percorso che segue l’ordine dei tomi della Recherche. Per evidenziare «il lato precario e fragile della genesi» dell’opera, come lo definisce un altro curatore, Guillaume Fau, un’intera sala è dedicata alla prima frase del primo volume, Dalla parte di Swann: «A lungo, mi sono coricato di buonora». In modo efficace, un’animazione visiva mostra le successive versioni del celebre incipit. Antoine Compagnon, professore al Collège de France e anch’egli fra i curatori, ha riassunto così il metodo adesso pienamente rivelato: «Marcel Proust non ha scritto la sua opera in modo lineare dall’inizio alla fine, ma con sequenze all’inizio isolate che ha mon-tato, smontato, rimontato, talvolta anni dopo, in un vasto lavoro di sistemazione del testo e degli episodi». In proposito, il “fondo Proust” della Bnf riunisce un vero giacimento testuale distribuito in 136 pezzi, fra taccuini, dattiloscritti, versioni di parti abbandonate. La Recherche venne scritta in gran parte a letto, vero luogo di lavoro di Proust. Ma in proposito, la mostra sfata pure il mito dello scrittore isolato dal mondo. In realtà, il suo metodo creativo includeva una fitta rete d’«informatori» con cui era costantemente in contatto, non solo per via epistolare. Inoltre, fra i riferimenti estetico-culturali non francesi dell’immaginario proustiano, spicca pure Venezia, fra i temi prediletti. E in proposito, venendo agli aneddoti, coincidenza vuole che la chiesa parigina in cui venne celebrato un secolo fa il funerale dello scrittore, Saint-Pierre de Chaillot, sia divenuta oggi la più cara a molti italiani in Francia, trattandosi dell’attuale parrocchia parigina della Missione cattolica italiana. Autore non proprio cartesiano, tutt’altro che ordinato e certamente poco algido e distaccato, Proust resta ancora, al di là dei tanti stereotipi che ne hanno nutrito la leggenda, un continente in gran parte da scoprire.