mercoledì 2 novembre 2011
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Alla benevola condiscendenza della Trinità che ha voluto lasciarsi “rappresentare” (etimologicamente: rendere presente) nel Figlio incarnato, morto e risorto, ha reso testimonianza, fin dall’inizio, l’arte del popolo cristiano. E l’ha fatto in particolare raccontando, attraverso la forma e il colore, lo storico intrattenersi (per usare un’efficace formula della Costituzione conciliare Dei Verbum 2) di Dio con gli uomini in Gesù di Nazaret. Il Santo Vangelo ci presenta Gesù che prega il Padre, che cammina, predica, guarisce, perdona, moltiplica i pani e i pesci, discute, muore per noi e risorge glorioso… Ecco lo storico intrattenersi del Dio invisibile con gli uomini. Egli ha rinunciato alla Sua assoluta invisibilità per rendersi umanamente accessibile a noi. Ma questo “noi” è sempre storicamente situato. La relazione con l’uomo concreto, infatti, implica sempre tempo e spazio. Questo spiega l’interesse degli artisti di ogni epoca e latitudine a lasciarsi pro-vocare dall’evento salvifico di Gesù. Anche l’arte contemporanea, con la molteplicità dei suoi linguaggi, vi si è cimentata. Con la sensibilità all’umano travaglio che la caratterizza, non poteva certamente ignorare il dialogo del Crocifisso Risorto. In questa prospettiva si situa la coraggiosa iniziativa del Cardinal Dionigi Tettamanzi di donare alla Chiesa un nuovo Evangeliario ambrosiano illustrato da sei autori contemporanei. Essa rappresenta un originale paradigma di ciò che dev’essere l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo al cosiddetto uomo postmoderno.  In che modo?«L’arte presenta [rende presente] la bellezza, lo splendore, la gloria, la maestà, il plus che è nelle cose e che si ritira quando dite che la luna è solo terra e le nuvole sono solo acqua». Queste parole di padre Bernard Lonergan identificano con chiarezza l’esperienza dell’incontro con l’opera d’arte. In modi diversi, l’opera d’arte si “impone” all’attenzione di ogni uomo e lo fa con forza proprio perché gli impedisce di dire che «le nuvole sono solo acqua». Da un certo punto di vista non ci sono premesse necessarie per provare il contraccolpo della bellezza: basta essere uomini! L’arte impone sensibilmente all’attenzione dell’uomo il plus che è nelle cose. Per questo è presenza tout court. Quando è autentica non è mai principio di evasione, ma di penetrazione nella profondità di tutto ciò che esiste. In un certo senso, è una conoscenza per eccesso, e non certo per difetto, della realtà. L’arte, quindi è, in se stessa, simbolica (l’etimo della parola greca syn-ballo dice un mettere insieme), riporta ad unità ciò che in qualche modo era stato diviso, sana le rotture. È pertanto liberante: la sua potenza simbolica aggancia il reale perché lo lascia essere presenza. Essa parla da sola. Di per sé non ha bisogno di interpretazione e parla a tutti; per sua natura, mette in rapporto. Libera il soggetto e intensifica le relazioni. Si comprende allora perché la Chiesa, lungo la sua storia bimillenaria, abbia vissuto sempre una sorta di connubio con l’arte. E ne sia stata magnanimo committente. Da quando fu possibile confessare pubblicamente la fede, i cristiani hanno fatto ricorso alle arti per proporne a tutti il fascino. A farlo sono stati guidati dalla verità stessa del Dio fattosi uomo: basta ricordare la controversia iconoclasta e il II Concilio di Nicea. I cristiani sono stati sempre consapevoli che anche se «i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere» (cf. 1Re 8, 27) il Mistero che fa tutte le cose, Egli ha voluto nascere da donna e manifestarsi al mondo come uomo vero, in tutto simile a noi tranne che nel peccato. In questo modo l’incarnazione del Figlio di Dio ha compiuto e rivelato in pienezza la dinamica propria della realtà intuita dall’arte, quel custodire in sé il plus che la fa splendere di bellezza. La Chiesa è oggi più che mai chiamata ad abbattere i bastioni e ad uscire incontro all’uomo per annunciargli il dono immeritato della misericordia di Dio in Gesù. Le tavole che, con sensibilità contemporanea, illustrano l’Evangeliario ci ricorderanno, celebrazione dopo celebrazione, che la Chiesa svela la sua identità nella missione. Per questo l’Evangeliario ambrosiano, voluto dal Cardinal Tettamanzi, è un dono fatto a tutta la Chiesa.
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