venerdì 10 novembre 2023
La figura femminile nella sua natura materna è stata l'archetipo degli archetipi. Che ne è oggi della sua forza sacra nella società secolarizzata?
La Venere di Willendorf, risalente al 30mila avanti Cristo

La Venere di Willendorf, risalente al 30mila avanti Cristo - WikiCommons

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Pubblichiamo alcuni estratti da Donne sacre. Sacerdotesse e maghe, mistiche e seduttrici (il Mulino) di Franco Cardini e Marina Montesano. Un incontro con miti, simboli, magie, archetipi che si muovono nei millenni e un succedersi di vicende e di figure femminili fuori dal comune.

Non c’è uomo, a parte Adamo, che non sia figlio di una donna: che non abbia albergato per mesi nel buio, caldo, sicuro ricettacolo del suo ventre; che non si sia attaccato ai suoi seni in cerca di vita; che – lo capisse, lo volesse o no – per tutta la sua esistenza non l’abbia poi cercata al fondo di tutte le donne che ha incontrato e che ha amato, o che ha finito per odiare, o che magari ha violentato e ucciso. Lei, il grande archetipo che Mircea Eliade e Carl Gustav Jung hanno cercato di farci comprendere. La Madre amata in tutti i modi possibili, da Edipo a Giovanni evangelista. Quella ch’è anche Sposa e Sorella, come l’amante edenica del Cantico dei Cantici: «Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella! […] Tutta bella sei tu, amata mia – e in te non vi è difetto. Giardino chiuso tu sei, sorella mia, mia sposa, sorgente chiusa, fontana sigillata».

L’essere umano vive, caccia, si accoppia, si riproduce, soffre, ha paura, uccide e muore da molti millenni: anche se soltanto da sì e no sei o settemila anni ha imparato a narrare le sue gesta, o almeno a lasciar traccia cosciente di quel che è stato o che ha voluto essere o che ha desiderato di far credere ai suoi posteri di essere stato. E magari molto, troppo spesso, ha dovuto, potuto o perfino voluto far a meno di una figura paterna. Ma della madre, di quella no. Senza quel ventre, senza quel seno, senza quegli occhi che lo guardavano, senza quelle mani che lo proteggevano e lo accarezzavano, non sarebbe stato nulla. Altro che «riposo del guerriero», come vaneggiava il povero, troppo grande Nietzsche che non a caso finì anche lui toccato dalla follia al pari di Attis oppure come Agave, madre e dilaniatrice di Penteo. C’è sempre una madre, nel destino di ognuno. Anche i più terribili tiranni degli ultimi duecento anni, anche Napoleone, Adolf Hitler, Josif Stalin, magari hanno dimenticato o disprezzato oppure odiato il padre, ma hanno mantenuto un ricordo pieno di tenerezza e di timor filiale per la madre. Che almeno in un caso ha finito anche col diventare regina. Anzi addirittura imperatrice, Madame Mère.

È tempo di affrontare il cuore di questo grande archetipo, che nella cultura moderna «secolarizzata» continua a conservare i tratti che gli hanno prestato Sandro Botticelli e Raffaello Sanzio. Ma che conosce, a sua volta, qualche precedente: nella storia, nel mito, nell’intricato e fascinoso mondo dei simboli. Passeremo dalle dee-madri della preistoria e dell’antichità alle figlie del sole e della luna fino a giungere al «nodo» della bambina di Nazareth divenuta Stella Maris e Regina Angelorum: esamineremo quindi – in una sequenza che fatalmente introdurrà a continui confronti liberamente evocati fra tempi e spazi diversi – quelle «donne sacre» che sono (o sono state) tali in quanto interlocutrici di Dio, quelle in grado di parlare con i morti, le fate che si comportano come donne e le donne che si presentano come fate: e così via, fino alle martiri di una libertà ancora da conquistare e alle eroine di una libertà conquistata. Questa è una storia senza fine perché, per definizione, essa non finisce mai: dalla sacralità antica e premoderna alla sacralizzazione moderna e postmoderna, in una prospettiva alla quale non si può proporre né tanto meno imporre un fine. Rien que la Femme. [...]

Non abbiamo cercato, nelle nostre protagoniste, solo il primato dell’eccellenza: ma qualcosa d’inesprimibile, un quid maius. Come quando, tra millanta bottiglie piene d’acqua, di zucchero e di acini d’uva spremuta, se ne stappa una in apparenza come le altre: e si scopre che è vino. Quella speciale caratteristica che ti commuove, ti turba, ti fa tremare dinanzi a un paesaggio boscoso, a un picco innevato, a un cielo pieno di stelle, a un mare in tempesta o arcanamente sereno, a qualcuno che parlandoti, o cantando, o guardandoti in silenzio, sa riempirti di fuoco e di ghiaccio. È questo il «sacro»: un luogo, un albero, un fiore, una pietra, un suono, un essere umano o qualcuno che gli somiglia ma c’è dell’altro… Il sacro è una forza silenziosa e sottile ma sconvolgente: qualcosa di totalmente diverso, di «altro», rispetto all’umano; una forza divina e mostruosa al tempo stesso. Può essere anche santo, quindi pros- simo al divino e al suo modello; al contrario, però, accade che si presenti come terribile e feroce. [...]

Nella contemporaneità del Novecento e degli Anni zero (ossia i nostri) le donne hanno raggiunto nella società ruoli ch’erano in passato loro preclusi; oggi si discute persino di un sacerdozio femminile nella Chiesa, già una realtà in quella anglicana, nella quale dal 2019 le donne ordinate preti sono state più degli uomini, e aumentano anche i loro ruoli dirigenziali. Può darsi che questo abbia «normalizzato» le donne, che le abbia private di quell’aura di maghe, sacerdotesse, mistiche, veggenti che le ha circondate, o per meglio dire che ha circondato alcune fra loro. Peraltro nella società contemporanea, non solo in quella occidentale, cresce il ruolo delle donne; un ruolo che si esplica a diversi livelli della società e della cultura. Ovunque ci si volga, figure femminili appaiono ormai in ogni settore della vita civile: al punto da poter affermare che il carisma «laico» ha sostituito il sacro, o ne è la figura «mutante». Ma in uno stato di grazia, cioè d’accezione, non a causa di uno sviluppo «naturale». In termini sinteticamente weberiani, si potrebbe forse azzardare la formula della donna sacra ch’è tale, rispetto alla donna di pur segnalate e riconosciute qualità, allorché in lei si manifesti e da lei promani un carisma capace di battere decisamente le qualità dell’istituzione. [...]

Insomma, l’ultimo secolo si tinge di rosa, si sarebbe detto un tempo: senonché il rosa non è più il colore d’eccezione per le donne, e persino Barbie diviene discusso simbolo dell’emancipazione. Eroine o comunque figure che definiscono molti dei cambiamenti della contemporaneità: sono loro a raccogliere, in un’epoca desacralizzata, l’eredità delle donne sacre?

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