venerdì 4 gennaio 2019
Lo scrittore e poeta francese smascherò le atroci menzogne degli stati totalitari del Novecento: dalle bugie del regime sovietico a quelle dei nazisti
Un murales  dedicato  allo scrittore  e poeta francese  Armand Robin (1912-1961)

Un murales dedicato allo scrittore e poeta francese Armand Robin (1912-1961)

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Come ha scritto Primo Levi, «l’intera storia del Reich millenario può essere riletta come guerra contro la memoria». Controllo totale dell’informazione, manipolazione dell’opinione pubblica, cancellazione di ogni traccia del passato che sia in controtendenza rispetto a chi detiene il potere, creazione di una vera e propria neolingua che conduce all’uso degli eufemismi (“soluzione finale”, “trattamento speciale” , “evacuazione dei detenuti” nel caso del nazismo): sono queste alcune caratteristiche dei regimi totalitari.

Sino all’uso sistematico della menzogna, diffusa con tutti i mezzi possibili: la radio in primo luogo. Indottrinamento e propaganda erano la specialità delle dittature comuniste, giunte a falsificare per decenni la tragica realtà dei gulag. Arrivando a ingannare personalità come George Bernard Shaw o Maksim Gorkij, che visitando i campi staliniani debitamente mascherati dal Kgb ne tessero l’elogio.

Accadde persino al vicepresidente Usa Henry Wallace: durante la seconda guerra mondiale si recò alla Kolyma, facendone una descrizione entusiasta. Chi si accorse sin da subito di questo terribile sistema di alterazione della realtà e di occultamento della verità fu Armand Robin, singolare figura di scrittore e poeta nella Francia del ’900.

Antitotalitario per eccellenza, questo anarchico nella vita e nel pensiero andò in Russia nel 1933, allora fervente sostenitore dell’idea comunista. Ma si scontrò con un’evidenza schiacciante che le sue convinzioni ideologiche non riuscirono a fargli negare. Quello che vide con i suoi occhi erano «contadini che da 18 mesi non vedono né pane né carne», «coscienze braccate, anime senza speranza, spaventate dagli orrori che hanno attraversato», «giovani abbrutiti convinti che i Soviet abbiano inventato l’elettricità e molto altro».

Insomma, un popolo stremato ed oppresso, «un popolo morto», inchiodato a un vero e proprio incubo, «un mondo in cui ogni senso della dignità umana è morto, perseguitato». Così descrive quanto ha constatato con i suoi occhi, lui giovane studente appassionato di lingue che si era recato in Polonia grazie a una borsa di studio e di lì, cresciuto nel mito della Rivoluzione d’ottobre, si era poi spinto in territorio russo, mettendosi a lavorare in un kolchoz per potersi mantenere.

Due anni dopo, in una lettera al suo maestro Guéhenno, che non gli dà molta fiducia sino al punto di prenderne le distanze, rende conto della vera realtà di un Paese dominato da una dittatura spietata. A differenza di altri scrittori francesi che si sarebbero inoltrati nell’Urss staliniana, come Gide o Céline, egli entra in contatto con le classi più povere della popolazione, non con gli intellettuali o i politici. E si avvede della grande menzogna in cui sono costrette a vivere.

Di lì la sua adesione all’anarchismo. Tutta la sua esistenza sarà da allora caratterizzata dalla battaglia contro la «falsa parola», come si chiama una sua raccolta di saggi che ora esce in Italia, assieme ad altri scritti, col titolo L’indesiderabile( Giometti & Antonello, pagine 152, euro 18).

Nato in Bretagna nel 1912 e cresciuto in una famiglia con- tadina che parlava solo il fissel, un dialetto bretone, e non il francese, il giovane Armand è però sin da giovanissimo attratto dallo studio e dalla conoscenza delle lingue, arrivando ad apprenderne una ventina, fra cui il tedesco, l’italiano, il russo, il polacco, l’ungherese, l’arabo, il cinese, l’ebraico. Il che gli avrebbe permesso di fare il traduttore di tante opere letterarie e di svolgere un’attività singolare: l’ascolto delle radio straniere e la compilazione di bollettini di informazione sulle loro trasmissioni, bollettini che vendeva a ministeri degli Esteri di vari Paesi e agenzie di tutti i tipi, persino al Vaticano. Appena rientrato dalla Russia, proprio grazie a queste sue competenze lavorò al Ministero dell’informazione del governo Pétain, fatto che non gli sarà mai perdonato dall’intellighenzia comunista che finita la guerra mise il suo nome nelle liste di proscrizione verso chi aveva collaborato col nemico (ma in realtà non perdonavano, a lui che amava definirsi «uomo di estrema sinistra », gli scritti anticomunisti).

Forse ingenuo, forse solo bisognoso di una retribuzione, come ascoltatore delle radio straniere in quegli anni passava però le informazioni anche alla Resistenza e a un certo punto lascerà il suo lavoro. Si mise così in proprio, dopo aver installato nella sua abitazione una postazione che gli consentiva di ascoltare varie decine di radio e di stilare centinaia di bollettini, facendo un’analisi politico- linguistica di quanto ascoltava che durò fino al 1961, anno della sua tragica morte in una stazione di polizia, avvenuta in circostanze mai chiarite, dopo che era stato arrestato per un alterco in un bar. Personaggio poliedrico e inclassificabile, si è detto, e soprattutto coscienza libera che non accettava di farsi manipolare da nessun potere.

Tanto che nell’ottobre 1943 sfidò la Gestapo, dopo che qualcuno l’aveva denunciato per i suoi contatti con i partigiani. Una lettera durissima e coraggiosissima, non a caso classificata nel volume come «indesiderabile». Eccone un passaggio: «Mi è accaduto che strani cittadini francesi mi abbiamo denunciato a voi come non facente del tutto parte del novero di chi vi plaude. Non posso, signori, che confermare tale giudizio. È esattissimo che io vi disapprovo di una disapprovazione per la quale non esiste nome in nessuna delle lingue che Un murales dedicato allo scrittore e poeta francese Armand Robin (1912-1961) io conosco (e probabilmente neppure nella lingua ebraica, che voi mi fate desiderare di studiare).

Voi siete degli assassini, signori». E più avanti aggiunge, dando conferma con la sua testimonianza della consapevolezza dello sterminio degli ebrei nei lager: «Non ignorerete di certo che io mi sono specializzato nell’ascolto delle radio straniere; vengo così a conoscenza di preziosi dettagli sulle vostre imprese; ma poiché la caratteristica principale dei criminali è soprattutto di essere ignoranti, dovrei perdere tempo a segnalarvi le camere a gas motorizzate che voi fate circolare nelle città russe? Oppure i campi in Polonia in cui, con arte consumata, fate morire milioni di innocenti?».

Negli uffici di Avenue Foch probabilmente l’avranno considerato un povero pazzo, e la lettera non avrà conseguenze. Ma i testi più significativi che appaiono nel volume sono quelli dedicati alla propaganda, alle minacce rappresentate dai sistemi di potere che utilizzano la radio e la tv per orientare e condizionare le opinioni degli ascoltatori. Su questi argomenti terrà una rubrica per alcuni anni sul quotidiano Combat di Albert Camus. Per lui si tratta di una vera e propria «messa a morte del Verbo». Ecco cosa scrive in uno di questi articoli nel 1947: «La propaganda a volte diventa la più esatta delle informazioni.

È il principio più semplice del mondo; essendo i fatti “spariti” in favore della propaganda, è la propaganda a diventare fatto; si potrebbe persino dire che la propaganda è il fatto essenziale della nostra epoca». In piena Guerra fredda, Robin analizza nei minimi particolari soprattutto la falsificazione sistematica della realtà operata dal regime sovietico, il regno della menzogna. Giustamente Antonio Malinverno nella prefazione lo definisce un precursore, se si considerano le opere successive di un Guy Debord o di un Jacques Ellul. E celebra questo anarchico al limite del misticismo, a lungo dimen-ticato, che con i suoi scritti e le sue traduzioni ha voluto cantare la verità della Parola.

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