A questo punto vedrete che arriverà a dire che è stato frainteso, che era sotto choc e in certe situazioni si può arrivare anche a parlare a vanvera. A questo punto però lo preghiamo sentitamente di togliere in ogni caso il disturbo e allontanarsi il più possibile dal mondo del ciclismo, che non sarà un Eden, ma di uno come Riccardo Riccò, e di quelli come lui, il ciclismo può farne sentitamente a meno. Sono migliorate grazie a Dio le condizioni fisiche del corridore modenese ricoverato d’urgenza per blocco renale sabato pomeriggio, ma a livello sportivo il corridore di Formigine è definitivamente morto. La Procura di Modena, infatti, ieri mattina ha aperto un fascicolo (al momento nei confronti di persona da identificare) per sospetta violazione della legge antidoping. Il sostituto procuratore Pasquale Mazzei ha messo agli atti il referto trasmesso dal medico dell’Ospedale di Pavullo che domenica mattina ha prestato la prima assistenza al corridore, presentatosi al pronto soccorso in condizioni critiche, tanto da consigliare il trasferimento d’urgenza all’Ospedale di Baggiovara (Modena).Secondo la testimonianza del medico, il corridore modenese - che versava in stato di choc - ha riferito, «in presenza della moglie» (in realtà la convivente Vania Rossi, n.d.r.) di «aver fatto da solo un’autotrasfusione di sangue che conservava nel frigo di casa da 25 giorni».Riccò si era sentito male sabato, dopo l’allenamento. «A quanto ne so era solo ha raccontato papà Rubino -. È tornato a casa, a Serramazzoni, con 38 di febbre. Nella notte tra sabato e domenica la febbre è salita, è arrivata sopra i 40, e Riccardo ha accusato anche dolori addominali. All’alba si è deciso di andare all’ospedale di Pavullo con un’ambulanza. Lì i medici hanno visto che era in condizioni critiche e hanno deciso subito il trasferimento all’ospedale di Modena. I medici hanno parlato di blocco renale, e pure di embolia polmonare». L’altra sera, quando la notizia è stata resa nota dall’ufficio stampa dell’ospedale di Modena, il bollettino medico era molto chiaro: «Le condizioni di Riccò, inizialmente critiche, sono in miglioramento. La prognosi, in via prudenziale, rimane riservata». Riccardo Riccò, modenese di Formigine detto il Cobra, era esploso nel 2008: secondo al Giro, battuto da Contador. Scalatore puro, carattere forte, senza paura: in lui, i tifosi rivedevano Marco Pantani. Poi la positività all’Epo-Cera al Tour 2008 dopo due vittorie di tappa, una notte in gendarmeria, 20 mesi di squalifica. È tornato in gruppo il 17 marzo del 2010. Per ricostruirsi l’immagine, aveva accettato qualche mese fa di essere seguito nella preparazione dal Centro Mapei di Aldo Sassi, già al fianco di Basso ed Evans. Per il professore comasco, morto il 13 dicembre scorso, quella era stata l’ultima scommessa. «Vorrei riportalo sulla retta vita», spiegò il professore visibilmente provato dalla malattia, che faticò non poco a convincere uno scettico Giorgio Squinzi, il “signor Mapei”. Ora da parte di Riccò lo schiaffo più duro, più violento e cattivo, alla memoria di un uomo che ci aveva messo cuore, coraggio e faccia. Riccò, in un sol colpo ha tradito tutti. Per l’ennesima volta. Per l’ultima volta. La Procura ha chiesto di poter acquisire la cartella clinica del corridore che, appena la situazione lo consentirà, sarà interrogato per cercare riscontro alle affermazioni rese al medico di Pavullo. Saranno ordinate anche perizie mediche ed ematologiche. Riccò, che per ora non è iscritto al registro degli indagati, rischia penalmente da 3 mesi a 3 anni per violazione della legge antidoping. Per la giustizia sportiva invece l’ipotesi più concreta sarebbe quella della radiazione, vista la sua recidività.