Renzo Arbore sarà tra i protagonisti della serata evento del 20 novembre su Rai 1 in favore dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma
«Vidi la sofferenza nel volto di un mio cugino disabile e un viaggio della solidarietà in Sudan mi cambiò la vita». Dall’iniziale colore giallo della birra a quello aureo della Lega del Filo d’oro. Così Renzo Arbore, che esortava la gente a meditare, ci ha messo poco a dare il buon esempio.
Non gli bastava certo entrare via etere nelle case degli italiani con la voce e con il volto in veste di showman e testimonial radiotelevisivo. Per lui, testimonial mondiale per antonomasia del Belpaese (in primis con la sua Orchestra italiana), il luccicante mondo dello spettacolo, per quanto totalizzante nella sua vita, non era sufficiente a saziargli l’anima. Perché Arbore, quando era Renzo Swing a Foggia con il suo clarinetto e quel viscerale amore per il jazz, il volto quotidiano della sofferenza e della disabilità fisica e psichica lo vedeva e viveva nel suo stesso palazzo, nella sua famiglia. In quegli occhi da bambino di suo cugino Carlo, che bambino è rimasto anche quando di anni ne aveva 75.
Così ci sarà anche Renzo Arbore la sera del 20 novembre, in diretta su Rai 1 dall’Aula Paolo VI in Vaticano, a festeggiare i 150 anni di fondazione dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Ci sarà con il suo swing e con il suo volto di testimone credibile e autentico di un incondizionato pluridecennale impegno personale a fianco dei bambini, da quelli della “sua” Lega del Filo d’oro alle migliaia di pazienti dello storico ospedale pediatrico romano appartenente alla Santa Sede.
Arbore, da dove viene questa sua sensibilità verso il mondo dell’infanzia disagiata?
«Anzitutto dalla consapevolezza di essere stato fortunatissimo nella mia vita. Fin da bambino. A differenza del mio caro cugino Carletto, che proprio due mesi fa se ne è andato, a 75 anni. Era rimasto praticamente fermo a livello cognitivo e anche motorio dall’età di sei anni. Abitava nel mio stesso palazzo a Foggia e anche quando me ne sono andato a Napoli e poi a Roma ogni volta che tornavo nella mia città lo andavo sempre a trovare con tanto affetto. Quando gli parlavo era come se parlassi con lui come quando eravamo bambini. Fino alla fine dei suoi giorni. Questo fatto, la sua disabilità, mi ha colpito molto. Tutta la nostra famiglia è sempre rimasta segnata dall’assistenza a Carletto, una persona peraltro davvero amabile. Era sempre sorridente, proprio come i bambini».
Quelli assistiti e seguiti dalla Lega del Filo d’oro, di cui lei è lo storico testimonial da più di trent’anni...
«Sì, da quando nel 1986 ho iniziato a prestare il mio volto in televisione e in altre circostanze a questa straordinaria realtà che cerca di lenire una drammatica forma di sofferenza infantile. La Lega del Filo d’oro si occupa di persone che non vedono, non sentono e non parlano. Li ho tutti nel cuore, ma con alcuni ho davvero condiviso un percorso di crescita. Come Andrea o come Alberto, che mi considera un suo grande amico. Molti li ho conosciuti da bambini e sono diventati grandi. Devo dire che la vita vince su tutto e sorprende ogni giorno. Quando ho detto di sì alla collaborazione con la Lega del Filo d’oro venivo da una esperienza talmente forte da avermi quasi sconvolto la vita».
Di cosa si era trattato?
«All’inizio del 1986, poco prima di andare al Festival di Sanremo con Il clarinetto, feci un viaggio in Sudan con una organizzazione statunitense che si chiama Care. Trascorsi in Africa quindici giorni visitando alcuni ospedali per bambini. Là mi sono davvero reso conto di quello che di straordinario facevano e fanno centinaia di giovani volontari che arrivano da tutte le parti del mondo. Provo poi una grande ammirazione verso gli operatori dei campi profughi di una guerra infinita che era già in corso allora. È stata una esperienza molto toccante a contatto con la povertà e la fame. Un posto dove ovviamente non si incontrava neanche un turista, ma solo missionari, volontari e al massimo qualche diplomatico. Purtroppo non ci sono immagini di quei giorni perché andai con un operatore che poi è morto e tutte le registrazioni sono rimaste da lui. Dopo un’esperienza così profonda e dolorosa in quell’Africa senza luce artificiale che si addormentava appena calava il sole, considerai persino una sorta di premio andare a Sanremo e tornare alla leggerezza».
E che segno le lasciò quell’Africa sofferente e così lontana dal nostro benessere?
«Be', il destino volle che proprio dopo il Festival mi arrivò la proposta della Lega del Filo d’oro e naturalmente ho subito accettato di mettermi in gioco per dei bambini che non avevano nemmeno il dono della vista, dell’udito e della parola. Adesso abbiamo otto sedi per cercare di aiutare gli ospiti a godere la vita almeno attraverso il tatto e l’odorato. Due sensi residui che possono aiutare ad ampliare le facoltà delle persone nell’approccio alla vita. Poi c’è qualcuno che vede anche un po’ di luce e altri che sentono qualche impulso musicale attraverso delle speciali cuffie».
Tra qualche giorno si esibirà invece per il Bambino Gesù a favore della raccolta fondi per le cure oncologiche e per i trapianti.
«Ne sono fiero, felice e grato. In Vaticano canterò con i Sugarpie and the Candymen, un gruppo swing di Piacenza. Rifaremo il mio pezzo Esattamente come tu, un brano scherzoso e ironico che eseguii due anni fa, ma poi non suonai più perché venni ricoverato in ospedale per una complicazione all’anca. È quasi un brano inedito che mi fa piacere presentare nell’Aula Paolo VI per questa grande occasione».