Renzo Arbore, lo showman ha 82 anni
Un foggiano “doc”, per evocare il titolo della sua storica trasmissione di Rai 2 di trent’anni fa che portò nella case degli italiani ogni sorta di eccellente sonorità. E oggi come allora al centro esatto della musica c’è ancora lui, Arbore. Renzo Swing, come chiamavano nella sua Foggia quel giovane clarinettista che doveva fare il dentista come suo padre, ma trasformò invece vita e carriera in una infinita jam session. Rivoluzionando con quello stile unico, mutuato in fondo proprio dal jazz, ogni altro tipo di linguaggio nell’era della comunicazione di massa, dalla radio alla televisione, dal cinema alla musica stessa, a partire dalla sua rivisitazione della canzone napoletana. Stasera lo showman sarà protagonista e deus ex machina di un evento nell’evento, il concerto jazz “Renzo Arbore & Friends” (ingresso gratuito) nell’ambito dello “Spring Medimex 2019”, manifestazione organizzata dalla Regione attraverso Puglia Sound. Sul palco di piazza Cavour, a fianco di Arbore in veste di crooner, jazzisti del calibro di Dado Moroni, Rosario Bonaccorso e Roberto Gatto ( The Italian Trio), Enrico Rava, Stefano Di Battista, Enrico Zanisi, Nicky Nicolai e la cantante pop Noemi. «Il Medimex a Foggia – spiega Arbore – è un premio per l’anima jazzistica di questa città. L’amore verso questo genere è nato quando, grazie all’Aeroporto Militare di Amendola, gli americani arrivarono numerosi in questa città e vi portarono la loro musica. Da quel momento Foggia ha sempre avuto un’ispirazione legata a questo genere. Anche grazie alla presenza di un circolo del jazz e alla passione per questa forma musicale di molti artisti e concittadini, trovai io stesso la mia prima vocazione». E se del jazz delle origini sbarcato a Foggia grazie agli Alleati d’Oltreoceano Arbore ha parlato ieri sera durante un incontro pubblico, di quello moderno «racconterà» stasera accompagnato dal gotha del jazz italiano interpretando alcuni famosi standard americani nella sua ormai da decenni abituale veste di crooner.
Arbore, ma com’erano quegli anni di Liberazione a Foggia quando lei era ancora un bambino?
Ricordo come fosse ieri che sentivo gli americani che suonavano al circolo ufficiali proprio davanti a casa mia. Tutti i jazzisti foggiani hanno appreso i rudimenti di quella musica meravigliosa da quei soldati musicisti che erano venuti a liberarci. E anch’io ho avuto la folgorazione così. Forse per questo la mia vita, come ho scritto anche nella mia autobiografia, è sempre stata come una jam session. E al jazz, pensandoci bene, ho rubato la formula dei miei programmi, quell’improvvisazione che era la caratteristica peculiare del jazz. Così quando a metà degli anni Sessanta ho conosciuto Gianni Boncompagni gli ho proposto proprio il modello del jazz per le nostre trasmissioni alla radio e poi in tv: se nel jazz il musicista “svisa” e fa i suoi assoli perché non lo facciamo con le parole? E così è nata quella nostra speciale vena, da Speciale per voi ad Alto gradimento insieme alla radio, da L’altra domenica a Quelli della notte e Indietro tutta in televisione, ma senza Gianni.
Lei che è uno storico del jazz e non solo, nonché “storico” presidente di Umbria Jazz, cosa pensa dei jazzisti italiani oggi?
Il jazz è una musica che noi italiani abbiamo nel dna. Non a caso il primo disco jazz della storia fu inciso 102 anni fa dalla band di un nostro connazionale, il cornettista siciliano di Salaparuta Nick La Rocca, leader della Original Dixieland Jass Band. Oggi il jazz italiano è il secondo del mondo e, senza dubbio, è una delle tante eccellenze italiane. Come ha appena ricordato anche il mio amico Gino Paoli, che da alcuni anni sta incidendo e suonando con grandi jazzisti, dopo essere stati per decenni debitori del jazz americano, ai cui stili ci adattavamo (dal bebop all’hard bop al “californiano”), adesso siamo diventati noi i più grandi esportatori mondiali di jazz e di jazzisti. Ogni nostro grande musicista ha la propria inconfondibile personalità. Stiamo vivendo l’età d’oro del jazz italiano e devo ringraziare anche l’ex ministro dei Beni culturali Franceschini che, investendo nel jazz e promuovendolo con provvedimenti ad hoc, ha la sua buona parte di merito.
Oltre ai musicisti che l’accompagneranno nel concerto foggiano, chi sono i principali alfieri del nostro jazz nel mondo?
Beh, sono tanti. Un posto d’onore spetta senz’altro a Paolo Fresu, a capo anche della Federazione del Jazz Italiano, che è uno straordinario divulgatore e organizzatore di iniziative e festival trasversali. È il trombettista più interessante del mondo, un esploratore di suoni, superiore persino a Wynton Marsalis che è sì bravissimo ma fa jazz di routine. Negli ottoni in questo momento siamo ai vertici assoluti, con altri trombettisti come Fabrizio Bosso e Flavio Boltro e il trombonista barese Gianluca Petrella. Per non dire di talenti come i pianisti Stefano Bollani e Danilo Rea. Ma ce ne sono molti altri che non sto qui a elencare. Tutti musicisti che hanno trovato una via italiana al jazz. Portandolo in giro per il mondo.
Invece stavolta il globetrotter Arbore non sarà in giro per il mondo con la sua Orchestra Italiana, ma torna nei panni di Renzo Swing nella sua città natale…
E tornerò a fare improvvisazione, non verbale ma musicale, con dei grandi jazzisti. Come Dado Moroni, grande pianista e accompagnatore, con cui feci anche un piccolo concerto anni fa a New York. E poi la tromba del grande Enrico Rava, le voci di Noemi e della virtuosa Nicky Nicolai, moglie di Stefano Di Battista, straordinario sassofonista che suonò anche con Lucio Dalla. Se fosse ancora tra noi ci sarebbe senz’altro anche lui con il suo clarinetto e avremmo rifatto insieme come tanti anni fa I can’t give you anything but love. E poi manca purtroppo il mio figlioccio Gegè Telesforo, foggiano come me, ma soprattutto grande vocalist e improvvisatore. Ha una serata altrove, un impegno preso tanto tempo fa che non ha potuto rimandare.
La musica ed eventi come Medimex quanto possono giovare a una regione e a una città come Foggia che, da alcu- ni anni, sta conoscendo un’inedita ondata di criminalità?
Queste grandi manifestazioni artistiche e culturali che suscitano partecipazione ed entusiasmo possono senz’altro aiutare a contrastare questo rigurgito di criminalità facendo scendere nelle piazze la gente e iniettando un po’ di fiducia. Sono francamente impressionato da questi episodi di violenza e di intimidazione della criminalità organizzata, perché nella mia città non c’era mai stato un fenomeno mafioso di questo tipo. Un altro fenomeno che mi turba è poi quello del caporalato, una grave piaga di questa terra. Questo indegno sfruttamento di centinaia di raccoglitori di pomodori, soprattutto immigrati. Sono dei benemeriti perché fanno un lavoro faticosissimo che gli italiani non accettano più. Persone sottopagate che vivono in condizioni disumane, con retribuzioni in nero da fame. Bisogna assolutamente intervenire. Per non dire dei viaggi della speranza nel Mediterraneo e delle tante sparizioni di gommoni e barconi carichi di persone in fuga che non vengono nemmeno segnalati. Ma purtroppo in questo momento siamo nella stagione della propaganda e delle elezioni. Vince il peggio, come in tv e come insegna l’Auditel.
Vince chi urla di più e la spara più grossa?
Finché non ci saranno state le Europee tutti faranno solo bassa propaganda, cavalcando le paure, i condizionamenti e le peggiori pulsioni dell’elettorato. È appunto come un indice di ascolto, ma purtroppo applicato alla vita politica e civile anziché a dei semplici programmi televisivi.