Jacques-Émile Blanche, “Ritratto di Marcel Proust”, 1892 (particolare) - © RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski
Ha scritto Jean Cocteau: «La voce di Marcel Proust è indimenticabile. È difficile per me “leggere” la sua opera invece di “sentirla”. La sua voce s’impone quasi sempre, ed è attraverso di essa che guardo le parole». Lui aveva avuto la fortuna di udire le parole di Proust pronunciate dallo scrittore. Ma anche noi che non abbiamo avuto questa opportunità possiamo percepire distintamente la voce del romanziere attraverso la sua opera scritta. Ricordare il centenario della morte di Marcel Proust - avvenuta a Parigi il 18 novembre 1922 - significa celebrare il romanzo contemporaneo. Perché pochi autori come lui e poche opere come il suo monumentale ciclo Alla ricerca del tempo perduto hanno rivoluzionato il modo di scrivere e di raccontare. Nelle pagine della Recherche si affaccia per la prima volta, in letteratura, una nuova concezione del tempo, dello spazio, dei personaggi, foriera di successivi e importanti sviluppi. Il capolavoro proustiano può essere considerato un vero e proprio spartiacque rispetto ai moduli tipici del realismo ottocentesco. Se prima le trame possedevano una loro linearità e una precisa direzionalità, dopo di esso diventeranno intricate e inconcludenti. Mentre i protagonisti dei romanzi dell’Ottocento erano spesso eroi positivi, nel Novecento essi saranno quasi sempre portatori di un disagio radicale. L’universo romanzesco non sarà più dominato da una coerenza logica e ideologica, bensì segnato dal caos. Entra in crisi, infine, l’oggettività delle categorie di tempo, spazio e causalità. Ma al di là del suo ruolo storicoletterario, la Recherche è un capolavoro in sé. La sua grandezza risiede nella capacità di ricostruire l’esistenza attraverso la memoria e il ricordo: i frammenti di vita sottratti all’oblio, l’esplorazione dell’interiorità dell’individuo, l’analisi dei processi mentali, le associazioni di idee da cui, come un lampo fugace, affiora il passato sono i principali aspetti di una “cattedrale” narrativa in grado di illustrare la ricchezza della vita umana, anche di fronte alla distruzione della civiltà, alla guerra e alla morte. È il francesista Giuseppe Scaraffia a definire «cattedrale sommersa» il ciclo narrativo di Proust, il suo grande affresco sociale che in qualche modo sembra aggiornare - sebbene, come si accennava sopra, in modi e con obiettivi completamente diversi - la “Commedia umana” del suo predecessore Honoré de Balzac. Il prezioso libro di Scaraffia si intitola semplicemente Marcel Proust (Bompiani, pagine 260, euro 16) ed è insieme saggio critico sull’opera proustiana, biografia dello scrittore, repertorio di testimonianze su di lui (quest’ultima parte occupa poco meno della metà del volume). La creazione della grande opera proustiana fu lunga e complessa. Dal 1908 Proust fu impegnato nella scrittura di un saggio che avrebbe voluto intitolare “Contro Sainte-Beuve”, in polemica con il metodo del maggior critico letterario dell’Ottocento francese, Charles-Augustin Sainte-Beuve, il quale teorizzava l’importanza della biografia degli autori nell’analisi delle loro opere, idea che Proust considerava riduttiva. L’iniziale elaborazione saggistica si trasforma però in una costruzione narrativa che a poco a poco si distacca dalla polemica contro il critico e infine la abbandona. Fra il 1909 e il 1910 il lavoro prende infatti la forma di un progetto romanzesco che andrà ampliandosi sempre più: dopo le grandi difficoltà incontrate per pubblicare il primo volume, il secondo ottiene il prestigioso premio Goncourt e la fama del suo autore comincia a diffondersi. Proust, però, non vedrà pubblicato l’intero ciclo, perché le ultime 3 parti delle 7 di cui è costituito usciranno postume. Il suo autore era nato il 10 luglio 1871 ad Auteuil, allora un sobborgo e oggi un quartiere residenziale di Parigi, in una famiglia altoborghese: il padre era uno stimato medico e professore alla facoltà di Medicina, la madre proveniva da una ricca famiglia ebraica alsaziana. Marcel ha così modo di frequentare gli ambienti intellettuali e aristocratici già durante gli anni liceali. Nel 1896 pubblica, all’età di 25 anni, il primo libro, I piaceri e i giorni, il cui titolo allude al poema Le opere e i giorni del greco Esiodo. È una raccolta di raffinate prose d’arte, uscita con la prefazione di Anatole France, che il giovane esordiente considerava un maestro (Mondadori ne ha appena pubblicata una nuova edizione negli “Oscar”, con introduzione di Mariolina Bertini, pagine 330, euro 14,50). Di salute cagionevole, Marcel soffriva di disturbi psicosomatici, di evidente origine nervosa, come le ricorrenti crisi di asma. I periodi di isolamento dovuti alla malattia, destinati a diventare più frequenti con il passare degli anni, favoriscono l’intensificarsi del suo lavoro letterario. Tuttavia con l’aggravarsi delle sofferenze fisiche, lo scrittore si rende conto che non gli resta molto tempo per compiere la propria opera maggiore. Dunque si isola definitivamente dal mondo, chiudendosi in una stanza dalle pareti foderate di sughero per annullare i rumori provenienti dall’esterno, così da lavorare indisturbato al suo monumentale romanzo, scrivendo di notte e dormendo di giorno. «Rimane sdraiato tutto il giorno, e per molti giorni di seguito»: così in una testimonianza di André Gide (riportata da Scaraffia, come quella di Cocteau sopra proposta). Sarà lo stesso Gide, selezionatore di manoscritti presso la casa editrice Gallimard, a rifiutare la pubblicazione al primo volume del ciclo proustiano. Dopo l’uscita di una parte dell’opera complessiva, La strada di Swann, presso l’editore Grasset a spese dell’autore, sarà invece proprio Gallimard a pubblicare l’intero lavoro. Che l’autore riesce a concludere prima di chiudere gli occhi per l’ultima volta.