Massimo Recalcati - .
«Hanno paura soprattutto degli esseri deboli, degli inermi, dei malati, delle donne, dei bambini. Hanno paura dei vecchi». Curzio Malaparte i tedeschi, intesi come nazisti, li conosceva piuttosto bene. Nel romanzo Kaputt, del 1944, il declino della patria-Europa fa da sfondo agli orrori della guerra, e l’odio che muove contro gli ebrei e i “deboli” è immaginato quale azione di una forza oscura che nasce all’interno dell’animo umano, un moto di paura che spinge ad annientare l’altro nel reprimere angosce e traumi interiori. Non è un’assoluzione, ma uno sguardo che esprime in forma letteraria quella che in fondo è una puntuale analisi clinica.
Oggi che la psicoanalisi è diventata un linguaggio comune disponiamo di uno strumento in più per interpretare le pulsioni che scuotono la nostra epoca, dove sono tornati ad agitarsi fantasmi capaci di evocare tempi più bui: il sovranismo nazionalista, il populismo, il fanatismo, l’ignoranza come pretesa di una sola verità, l’ossessione per i confini, e soprattutto la paura di un nemico che si crede provenire dall’esterno, e che genera odio per l’altro, per il diverso, per lo straniero.
L’interpretazione delle dinamiche sociali alla luce della psicoanalisi è un esercizio nel quale si cimenta da tempo Massimo Recalcati. Lo ha fatto di recente con Le nuove melanconie (Cortina), analizzando l’angoscia collettiva generata dalla crisi dell’illusione iper-consumista e la conseguente trasformazione in pulsione securitaria con caratteristiche patologiche. Lo ripropone nel suo ultimo saggio La Tentazione del muro (Feltrinelli, pagine 128, euro 14,00), nel quale arricchisce e riorganizza in cinque brevi lezioni sul Lessico civile le trasmissioni andate in onda nella primavera 2020 su Rai 3, ultima tappa della fortunata trilogia che ha attraversato il lessico familiare e quello dell’amore. L’occasione invita ad aggiornare l’analisi in virtù della rivoluzione rappresentata dalla pandemia di Covid-19, per una riflessione collettiva sulla ricostruzione.
E qui Recalcati a tratti sembra voler mettere in guardia dai rischi che l’umanità finisca “kaputt”, vittima delle proprie paure, qualora nello sforzo di ripartire non fosse in grado di riscoprire il valore delle istituzioni, della politica come mediazione, e soprattutto della Carità come tensione alla fratellanza e come amore per l’altro. In un racconto di Franz Kafka, La Tana, il protagonista cerca ossessivamente di costruirsi una casa che escluda qualsiasi possibilità di incontro con soggetti esterni e di contaminazione con lo straniero. Quando pensa di esserci finalmente riuscito, ecco che la pretesa di quiete viene sconvolta da un sibilo impercettibile che, chiaro indicatore di follia, palesa al costruttore la dura verità: lo “straniero” non viene dall’esterno, ci ricorda dunque Recalcati, ma è una presenza interna e insopprimibile. È in questa lezione freudiana che risiedono gli elementi per arginare l’imbarbarimento della vita sociale.
La pulsione neolibertina che nutre l’individualismo ipermoderno, così come il suo opposto, la pulsione securitaria che conduce alla trasfigurazione dei confini in muri, avverte Recalcati, abitano l’umano da sempre, e non dobbiamo averne paura nel riconoscerle: è invece nella loro deriva patologica che risiede il pericolo per gli individui e per la società. Dei confini, insomma, le persone hanno bisogno quanto della libertà, per vivere, ma come l’eccesso di erranza e di caos porta alla schizofrenia, la follia è figlia dell’io ipertrofico che si alimenta della costruzione di muri quando non siamo capaci di rendere porosi i confini. Il muro, dunque, va bene finché resta una tentazione, ma una comunità umana sana si fonda su individui disposti ad accettare l’“angoscia” della libertà, quella “condanna” a essere liberi di cui parlava Sartre.
Libertà è, necessariamente, la parola fondamentale nel “lessico civile” di Recalcati, che da Freud a Lacan ha un significato molto preciso: rinuncia alla soddisfazione individuale e immediata della pulsione, limite al godimento che prescinde dagli altri. Una condizione questa, se ci pensiamo bene, che è mancata del tutto nella lunga stagione dell’irresponsabilità e dell’accumulazione del debito sociale, economico e ambientale, prodotto di una cultura che a parole si è definita solidale, ma coperta dal velo dell’ideologia ha preteso di scaricare sugli altri – che fossero i giovani o le popolazioni più deboli – i costi del proprio benessere.
La grande opportunità, oggi, è rileggere questa pandemia per elaborare un metodo di rinascita civile fondato Istituzioni partecipate e umanizzate dalla Carità, ci dice Recalcati attingendo alla poetica pasoliniana. Il virus ha mostrato che la rinuncia all’esercizio della libertà individuale per un bene più alto non ha condotto a derive autoritarie, ma alla presa d’atto di un’interdipendenza planetaria: dell’Altro abbiamo bisogno come di un nuovo cuore perché «nessuno si può salvare da solo e la libertà senza fratellanza è una parola vuota».