Sono stati a lungo snobbati dai concorsi dei grandi festival internazionali, ghettizzati in rassegne a essi dedicate e seguite da un appassionato, ma non vastissimo pubblico di cinefili. Poi nel 2002 il Festival di Cannes trovò un posto al sole della competizione per
Bowling a Columbine che vinse un premio speciale istituito per il 55° anniversario della kermesse, e fu l’inizio di un grande amore. Un segnale importante che accese l’attenzione del grande pubblico e abituò selezionatori e giurie a non considerare il documentario un genere nobile ma poco glamour, tanto che due anni dopo Moore conquistò la Palma d’oro con
Fahrenheit 9/11e parteciperà al prossimo Festival di Berlino con
Where to invade next, contro la politica estera americana. La riscossa del “cinema dal vero” cominciò in quegli anni e da allora ogni manifestazione internazionale che si rispetti vanta almeno un documentario in gara. E i documentari vincono, basti pensare a
Sacro Gra di Gianfranco Rosi, Leone d’oro a Venezia nel 2013 (il regista è attualmente impegnato in un lavoro su Lampedusa, raccontata attraverso le storie dei suoi abitanti), a
The look of silencedi Joshua Oppenheimer, Gran Premio della giuria l’anno dopo, sempre a Venezia, oppure a
El botón de nácar del cileno Patricio Guzmán, che all’ultimo Festival di Berlino si è addirittura aggiudicato il premio per la migliore sceneggiatura. E ancora al grande successo di pubblico di
Il sale della terra di Wim Wenders. Le acque si mescolano sempre più, i confini si confondono come dimostra l’ultimo film di Pietro Marcello,
Bella e perduta, progetto cominciato come documentario e trasformato in finzione, che mette a dura prova chi cerca di distinguere l’uno dall’altra. È indubbio che, rispetto ai documentari realizzati ogni anno, sono ancora pochi quelli visibili, ma il cinema del reale è divenuto un vero e proprio fenomeno, e non solo in Italia, alimentando una fame di verità che sta contagiando anche il cinema di finzione. Non è un caso infatti che sempre più spesso frasi come «tratto da una storia vera» e «ispirato a fatti realmente accaduti» attribuiscano al film un’autorevolezza e una forza che la pura fantasia sembra aver perso. Gli schermi del 2016 saranno dunque ricchi di storie ansiose di far rivivere personaggi illustri benché semisconosciuti, di rievocare eventi ormai dimenticati, ma capaci di dialogare con il presente. La battaglia condotta dalle donne per ottenere il diritto di voto nell’Inghilterra del 1912 è al centro di
Suffragette di Sarah Gavron,
Colonia di Florian Gallenberger ci porterà in Cile, nella misteriosa Colonia Dignidad dove una setta religiosa torturava prigionieri politici per conto nel generale Pinochet, e
Elvis & Nixon di Liza Johnson si concentra sull’incontro tra la rock star e il presidente Usa avvenuto nel 1970.
Sully di Clint Eastwood è un biopic sulla vita del pilota americano Chesley Sullenberger che salvò i passeggeri di un volo grazie a un atterraggio sul fiume Hudson, Will Smith interpreta in
Zona d’ombra di Peter Landesman il neuropatologo Bennet Omalu, celebre per aver scoperto una malattia degenerativa del cervello che colpiva i giocatori di football. Alejandro González Iñárritu ha scelto Leonardo Di-Caprio come protagonista del suo
Revenant – Redivivo ambientato nel 1823, quando il cacciatore di pelli Hugh Glass venne aggredito da un grizzly e abbandonato dai compagni di spedizione.
La grande scommessadi Adam McKay racconta invece come un gruppo di speculatori, prevedendo con largo anticipo la crisi economica del 2008, puntò sul fallimento dell’economia americana e vinse, mentre
L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo di Jay Roach rievoca la carriera del celebre sceneggiatore arrestato perché sulla lista nera dei maccartisti, ma vinse due Oscar sotto falso nome. .
Il labirinto del silenzio di Giulio Ricciarelli torna nella Germania del 1958 che cerca di seppellire il ricordo del regime nazista insieme ai suoi carnefici,
Land of Mine di Martin Zandvliet riscopre una pagina oscura della storia danese, quando nel paese giovani prigionieri di guerra tedeschi furono usati per sminare la costa alla fine della Seconda Guerra Mon- diale,
Il caso Spotlight di Thomas McCarty rende omaggio al team di giornalisti investigativi del Boston Globe che denunciarono gli abusi sessuali su minori commessi da molti sacerdoti locali,
Truthdi James Vanderbilt affronta il caso Rathergate sui favoritismi ricevuti da George W. Bush per evitare la guerra in Vietnam,
Snowden di Oliver Stone torna sul tecnico informatico americano, già al centro del documentario premio Oscar
Citizenfour, che ha svelato il programma di intercettazioni telefoniche e sorveglianza del governo Usa. Danny Boyle ci restituisce luci e ombre del padre di Apple nell’efficace
Steve Jobse James Ponsoldt, attraverso il personaggio del giornalista David Lipsky, traccia in
The End of the Tour un ritratto dello scrittore David Foster Wallace in occasione del tour promozionale de libro
Infinite Jest. E se
Love & Mercy di Bill Pohlard ricostruisce vita, carriera e disagio mentale di Brian Wilson,
frontman dei celeberrimi Beach Boys,
The Idol di Hany Abu-Assad ci regala la favola moderna del cantante Mohammed Assaf, ventiduenne rifugiato palestinese di Gaza divenuto simbolo di speranza vincendo la versione araba del contest
American Idol. In
Neruda Manule Basoalto si occupa del poeta premio nobel per la letteratura nel 1971,
Eddie the Eagle di Dexter Fletcher celebra il saltatore con gli sci britannico Eddie Edwards,
Pelé – Birth of a legend di Jeff e Michael Zimbalist rievoca le gesta del celebre calciatore brasiliano mentre in
Race - Il colore della vittoria di Stephen Hopkins Will Smith è Jesse Owens che alle Olimpiadi di Berlino del 1936 mandò in frantumi il mito hitleriano della supremazia della razza ariana.