Chiostri
Anna si muove per la libreria con passo regolare, gesti sicuri e precisi. Ora ha deciso di riordinare il tavolo delle letture per l’infanzia, largo e basso, a portata dei bambini. Hanno sempre copertine variopinte che la incantano. Pensa sia un dono del cielo essere così bravi a disegnare e lei non l’ha avuto, mentre sua sorella sì, da giovane era dotatissima. Ogni tanto la esorta ancora a riprendere quella antica passione, anche se ogni volta Gianna si arrabbia come se le si facesse un dispetto.
«Vado io», dice quando il trillo del campanello appeso alla porta la riscuote, anche se è scontato visto che Gianna è sulla scaletta a pulire un ripiano, come fa spesso perché detesta la polvere.
È la signora Mariti e Anna la accoglie con un festoso «È arrivato!», contenta di poterle consegnare il volume di Rodari destinato alla nipotina. Aspetta che sia uscita per guardare l’orologio: finora un solo cliente e sono già le quattro.
«Non sembra una giornata molto promettente», commenta Gianna come se le leggesse nel pensiero.
«È normale il pomeriggio della Vigilia», osserva lei. «La gente resta a casa a preparare il Natale».
Gianna non replica, ma è eloquente l’eccesso di energia con cui passa il panno sui ripiani.
«Ci sarebbe da sollecitare quell’ordine che abbiamo fatto già da un pezzo», ricorda Anna, e la sorella scende dalla scaletta, dice «Ci penso io».
«Grazie» risponde Anna, che svolge malvolentieri quelle mansioni. Nuovo trillo del campanello e si tratta di Margherita, un’altra affezionata cliente, che si dirige senza esitare verso lo scaffale della narrativa straniera. Valuta con sguardo da intenditrice, sceglie un paio di volumi e con quelli si accosta alla cassa.
Anna la raggiunge e commenta: «Vedo che le piacciono sempre gli autori giapponesi».
«Sì ma questi sono per dei regali, anzi se mi può fare un pacchetto… ».
Dopo che è uscita Anna va a scambiare due parole con la sorella, e sa già in anticipo cosa le sentirà dire.
«Giapponesi, indiani, canadesi… Sono mode che non capisco».
«È anche bello provare cose nuove», obietta lei. «Magari per scoprire che certi sentimenti sono universali».
«Ci sono tanti bravi autori italiani che nessuno legge più», ribatte la sorella. Gianna se la prende ogni volta che un libro a cui tiene viene dato per esaurito o in ristampa, ma poi sparisce nel nulla.
Fuori è già buio e Anna vorrebbe che il campanello suonasse di nuovo. Pensa che possa succedere più facilmente se si tiene occupata e decide di sistemare alcuni volumi sullo scaffale più alto. Si inerpica fino all’ultimo gradino della scaletta e individua subito un romanzo che non dovrebbe essere lì. Sa che è opera di sua sorella e quando scende la raggiunge col volume in mano.
«Che ti ha fatto di male questo qui, che lo nascondi come fosse il diavolo?».
«Ne ho letto quanto basta e lo trovo volgare. Con quel sesso ostentato… Comunque se qualcuno lo chiede c’è», e torna al suo lavoro. Ma Anna non desiste.
«Con l’età sei diventata un po’ troppo rigida. Rispetto ai nostri tempi è cambiato tutto, ma sei stata giovane anche tu…».
Gianna si allarga con due dita il collo del dolcevita che indossa sempre sotto il grembiule, sembra sul punto di replicare ma poi si limita a corrugare la fronte.
Finalmente il campanello trilla di nuovo, e lo sguardo che Anna scambia con la sorella dice la poca simpatia di entrambe per il nuovo venuto.
Il professor Maletti è un ex professore di liceo, presuntuoso e saccente, che si dà arie da uomo di mondo.
«Tanti negozi che cambiano gestione o chiudono i battenti», esordisce, «ma questo resta sempre al suo posto: una vera istituzione!».
«Finché possiamo andiamo avanti», risponde conciliante Anna.
«Ci vuole del coraggio per tenere aperta una piccola libreria», continua l’altro, «quando a quella del centro commerciale trovi di tutto e ti fanno pure lo sconto. Sarà un problema anche solo pagare l’affitto, che qui in centro dev’essere salato...».
È un bene che Gianna sia nel retro, altrimenti non risparmierebbe al professore una rispostaccia delle sue. Lei invece preferisce la linea morbida e gli risponde «Abbiamo la fortuna di un proprietario che ci vuol bene. Non so un domani i figli, ma finché c’è lui tutto resta com’è, ce lo ripete sempre».
«Qui non cambia mai nulla», insiste Maletti. «Lo stesso arredo, il vostro grembiule sempre in ordine... Ormai chi lo porta più?».
Anna si stringe nelle spalle che il grembiule marrone fa sembrare ancora più esili. Per fortuna Maletti sembra pago, sceglie un volume fra le novità e mette mano al portafogli. È una vera liberazione il trillo della porta che si chiude alle sue spalle, e lei va subito da Gianna, che al suo sguardo contrariato risponde «Odioso come al solito!».
«Per lo meno compra ogni volta un libro...», commenta lei, e di rimando la sorella: «Pare venga a fare un atto di carità! E purtroppo dice anche cose vere…». Sembra sul punto di continuare, poi rinuncia, ma Anna le legge sulle labbra le domande solite: per quanto potremo andare avanti con una sparuta clientela di vecchi come noi? Da quanti anni facciamo questo lavoro, quando invece potremmo essere in pensione da un pezzo? E le torna in mente il giorno in cui hanno aperto, lei aveva trent’anni, sua sorella ventotto, e stringevano la mano a tutti mentre offrivano le tartine preparate insieme la sera prima. Pensa a certe mattine in cui si alza coi capogiri e teme qualche brutto malanno, ma appena è in libreria e serve il primo cliente non ci pensa più.
«Arrivati fin qui tanto vale andare fino in fondo», risponde alle domande non pronunciate dalla sorella. Passa un’altra mezz’ora e non verrà più nessuno, ormai è chiaro. Sul marciapiedi si vede solo qualche passante frettoloso, col fiato condensato dal freddo. Poi Anna sobbalza all’inatteso squillo del telefono.
«Rispondo io», dice forte mentre raggiunge l’apparecchio. Riconosce subito la voce di uno che ha già chiamato per un pagamento, e non esita a rispondergli: «Mi scusi ma della parte amministrativa si occupa mia sorella che al momento non c’è...», e fa un cenno d’intesa a Gianna. «Se potesse richiamare...».
È ora di chiudere e Anna va a togliersi il grembiule, lo appende accanto a quello della sorella, indossa svelta il cappotto.
«Andiamo?».
Gianna fa segno di sì e lei spegne le luci, poi chiude la grata a soffietto che è difettosa e richiede sempre uno sforzo poco gradito alla sua artrosi.
Per raggiungere la fermata del tram sceglie la via principale, con le vetrine addobbate e le luminarie appese ai fili.
«Così almeno vediamo un po’ di gente», dice, anche se sa che la sorella non dà importanza a queste cose.
La pensilina è più affollata del solito e vi arriva il vocio dei ragazzi seduti ai tavolini del bar, coi cappucci delle felpe tirati sulla testa per difendersi dal freddo, le braci rosse delle sigarette che pulsano nella penombra.
«Buonasera Anna».
«Buonasera. Come sta?», risponde alla donna di cui ha dimenticato il nome.
«Bene, grazie. I ragazzi sono tornati e facciamo il Natale insieme».
Anna ricorda che la donna ha due figli, che studiano all’estero, e commenta: «Hanno la fortuna di imparare un’altra lingua e oggi conta tanto».
L’altra annuisce, poi si schiarisce la voce prima di domandare: «E lei, come se la cava da sola a fare tutto?».
Anna si gira d’istinto verso il vuoto che la sorella le ha lasciato accanto.
«Mi arrangio come posso. Il lavoro non è tanto».
«Certo che è successo in fretta! L’avevo vista prima dell’estate e pareva stesse bene. Poi invece...».
«È mancata il 25 settembre, saranno tre mesi domani», precisa Anna tenendo ferma la voce. Poi soggiunge: «Avevo solo due anni più di lei, eppure sono sempre stata sicura di andarmene io per prima. Ma non siamo noi a decidere...».
La donna non sa cosa aggiungere e sembra sollevata alla vista del tram in arrivo.
«Le faccio tanti auguri, di cuore», dice mentre si avvia.
«Grazie, altrettanto», risponde Anna, e cerca di mettere a fuoco il numero del tram. Poi dice a voce alta: «È il nostro», e si prepara a salire i gradini, che sono un po’ impegnativi per le sue gambe corte.