I Propilei, l’ingresso monumentale dell’Acropoli di Atene
Il 26 febbraio il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, riceverà ad Atene la laurea honoris causa in Lingua e Letteratura Italiana da parte dell’Università Nazionale e Capodistriana. Fondata nel 1837, è la più antica università dell’Europa sudorientale. Qui anticipiamo la parte conclusiva della sua lectio magistralis in cui il cardinale compie un «percorso di natura “impressionistica” all’interno del Vaticano “ateniese”».
Nell’assolato pomeriggio del 20 giugno 2009 assistevo, tra le autorità, all’inaugurazione solenne del nuovo Museo dell’Acropoli di Atene, su invito del ministro greco della Cultura di allora, Antonis C. Samaras, nella mia qualità di suo omologo, rappresentante ufficiale della Santa Sede. L’evento si svolgeva all’interno del nuovo stupefacente museo progettato e realizzato tra il 2001 e il 2009 dall’architetto svizzero Bernard Tschumi (nato a Losanna nel 1944 ma residente a New York) e “deposto” ai piedi del pendio meridionale dell’Acropoli. Dopo i discorsi inaugurali, era iniziata la visita durante la quale la collezione impressionante di reperti si affacciava in spazi architettonici affidati al vetro e quindi alla sfolgorante luminosità mediterranea della Grecia. La stessa pavimentazione in cristallo ci rendeva come sospesi tra cielo e suolo, con effetti persino conturbanti di vertigine. Ma il turbamento si trasformava in meraviglia al terzo piano. Oltre le pareti di vetro si ergeva in tutto il suo potere di attrazione l’Acropoli sulla quale svettava il Partenone. Era sceso frattanto il tramonto e la luna si affacciava su quel colle segnato da secoli gloriosi di storia e cultura, mentre iniziava per noi la cena di gala, organizzata proprio in quel piano del museo ove era collocata una reliquia preziosissima di quella storia. Infatti, all’interno del Museo, in perfetta posizione speculare rispetto all’originale, si dispiegava per 160 metri il fregio frontale del Partenone così come era stato concepito tra il 447 e il 432 a.C. da Fidia. Un’indimenti- cabile sequenza di scene scultoree che erano state rimosse dal tempio originario per poterle tutelare dall’inquinamento urbano della moderna Atene.
All’interno di questo complesso, identificabili per variazioni cromatiche, erano presenti le copie delle molte componenti originali là assenti perché migrate in passato da Atene e ora detenute dal British Museum e dal Louvre. Ebbene, in quell’occasione il Vaticano aveva concesso i tre frammenti della decorazione del Partenone che erano giunti a Roma nell’Ottocento per vie ignote e che facevano parte del citato Museo Gregoriano Profano, voluto da Gregorio XVI. I tre lacerti vaticani sono, certamente, solo dei frammenti marmorei, eppure in essi si può quasi intuire in una sorta di bagliore lo splendore del tutto che era stato scolpito in marmo pentelico da Fidia. Ecco innanzitutto una testa di cavallo proveniente dal frontone occidentale del tempio: gli studiosi l’hanno identificata come parte di uno dei quattro destrieri della quadriga di Atena. In quel frontone, infatti, era rappresentata la disputa tra Atena e Poseidone per il dominio dell’Attica. La stessa accuratezza critica ha permesso di dare un’identità di base al secondo frammento, una testa di fanciullo che regge un vassoio: sarebbe un offerente che presenta le focacce votive ad Atena nella solenne processione delle Panatenee, la festa più importante del calendario ateniese, commemorativa della fondazione della città. L’atto rituale principale di quella solennità era appunto una processione di magistrati, cavalieri, cittadini, musici e portatori di offerte come il ragazzo effigiato nel lungo fregio che avvolgeva la cella sacra interna del tempio.
Quel giovane ateniese appare serio e consapevole mentre regge il suo dono. Infine, il trittico è concluso da una testa maschile barbuta: essa è stata assegnata dagli studiosi a una metopa del lato meridionale del Partenone. Là era raffigurata la Centauromachia, ossia la lotta tra i Centauri e i Lapiti, violenti abitanti primordiali della Tessaglia. Ritornato ad Atene, a distanza di dieci anni, nella sede così prestigiosa dell’Università Nazionale “Capodi-stria”, per un atto che considero uno dei riconoscimenti più alti che siano stati assegnati a un cardinale della Chiesa Cattolica Romana, mi è possibile solo professare, con la più grande riconoscenza, la profonda sororità ideale, culturale e spirituale che unisce l’Atene classica alla Roma cristiana. È l’affermazione di un legame umanistico, che dev’essere riproposto con forza in un’atmosfera contemporanea, spesso affidata solo alla tecnologia e incline alla superficialità e alle relazioni immediate, mutevoli e persino aggressive. Se Alexandre Dumas padre, nelle sue Impressioni di viaggio, affermava che «l’antichità è l’aristocrazia della storia», un testimone insospettabile come Steve Jobs, il fondatore di Apple, non esitava a confessare, alle soglie della sua morte avvenuta nel 2011: «La tecnologia da sola non basta. È il matrimonio tra la tecnologia e le discipline umanistiche a darci il risultato che ci fa sorgere un canto nel cuore».