Mesini, Fusconi e Valgimigli - archivio
Da sette secoli Ravenna conserva gelosamente le ossa di Dante e per proteggere questo prezioso tesoro ha fatto di tutto, disubbidendo perfino a papa Leone X che nel 1519 aveva autorizzato l’Accademia medicea a recarsi a Ravenna per prelevare le ossa e portarle a Firenze. Tutti sanno come andò a finire la storia. Prima dell’arrivo a Ravenna della delegazione fiorentina i frati Francescani, che si sono sempre considerati custodi delle spoglie del poeta, a notte fonda praticarono un buco nella tomba e nascosero le ossa nell’attiguo convento. Nel 1810, a seguito delle soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi, dovettero abbandonare il convento e prima di lasciare la città nascosero la cassetta delle ossa nella cavità di un muro. Qui vennero ritrovate per caso da un muratore alla fine di maggio del 1865 durante i lavori di restauro della zona in occasione del sesto centenario della nascita del poeta. Ci fu grande festa in città per questo ritrovamento, definito l’evento del secolo, e le ossa ritornarono nella tomba.
Ora, secondo un articolo del ravennate Sergio Roncucci pubblicato il 1° luglio sulla rivista 'Pen Italia' la vicenda delle ossa di Dante si arricchisce di un nuovo capitolo che si discosta dalle versioni ufficiali a suo tempo fornite. Nel 1944 Hitler aveva affidato all’architetto del regime Albert Speer la costruzione di un Pantheon che avrebbe dovuto accogliere le ossa di grandi personaggi e fra questi Dante. L’Oss, il servizio segreto statunitense precursore della Cia, viene a conoscenza del progetto e informa l’Organizzazione per la Resistenza italiana che faceva capo a Raimondo Craveri, genero di Benedetto Croce. Essendo in ballo le ossa di Dante, Croce mette al corrente l’illustre grecista Manara Valgimigli e quest’ultimo, che alcuni anni dopo sarebbe stato chiamato a dirigere la Biblioteca Classense di Ravenna, informa don Giovanni Mesini che subito prende le contromisure.
Don Mesini, conosciuto come 'il prete di Dante', insieme a Bruno e a Giorgio Roncucci, padre e fratello di Sergio, e del custode della tomba Antonio Fusconi, si reca al cimitero di Ravenna, preleva le ossa da una tomba abbandonata e nella notte fra il 23 e il 24 marzo del 1944 le sistema al posto di quelle del Poeta. Sergio Roncucci, che all’epoca aveva dieci anni, ricorda che don Mesini si era recato a casa sua portando la cassetta con le ossa del Poeta e alle domande legittime dei familiari aveva risposto col dito indice sulle labbra. «Zitti tutti!». Nel frattempo, sempre secondo Roncucci, le Ss trafugano le ossa di Dante e le portano a Berlino. Quando si accorgono della beffa è tardi, la guerra è ormai alla fine e hanno altro a cui pensare. La storia, dunque, si ripete. E come all’inizio del Cinquecento i Francescani, disobbedendo a papa Leone X, trafugarono le ossa del poeta, allo stesso modo don Mesini e i suoi amici beffarono Hitler.