L’Enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco (2020) ha portato nuovamente all’attenzione di credenti e non credenti il tema della fraternità, un tema certamente non nuovo e anche per questo più problematico e ricco di implicazioni teoriche di quello che può sembrare a prima vista. In un mondo caratterizzato da forti tensioni politiche, da divisioni religiose, da crescenti disuguaglianze economiche e sociali, rese ancora più acute dall’attuale pandemia, e da un livellamento culturale incentivato dal processo di globalizzazione economico, l’ideale della fraternità appare come un orizzonte di senso grandemente significativo. Esso non presenta il volto esangue dell’universalismo dei diritti umani, che soffre di astrazione e si presta spesso a un uso retorico, ma rimanda a una dimensione più profonda e sentita del legame fra gli esseri umani. La fraternità appare così come un ideale, una condizione ancora da realizzare, a partire, però, da una base concreta, che già esiste. Una prima questione che si solleva è quindi: qual è la radice della fraternità?
Per le religioni monoteistiche, essa è la comune figliolanza divina, l’essere figli dello stesso padre che è Dio, ma certamente questa risposta non incontra più nella cultura secolare odierna un unanime consenso. Un pensatore secolare può sostenere, come ha fatto Jean-Paul Sartre in un’intervista su questo tema rilasciata pochi mesi prima della morte, che è piuttosto l’identità di specie a costituire la radice della fraternità. È il possedere una comune origine biologica che orienta verso un comune destino, sebbene l’origine biologica da sola non basti, perché c’è bisogno dell’impegno morale per rispondere ai bisogni dell’essere umano e così realizzare l’ideale della fraternità.
Tuttavia, assodato che esiste una risposta religiosa e una secolare alla domanda sulla radice della fraternità, si solleva un’ulteriore questione. La fraternità possiede un’apertura universale? Per religioni universalistiche come il cristianesimo e l’islam la risposta è, a prima vista, positiva. L’Enciclica di Papa Francesco insiste con forza su questo punto. Eppure, sappiamo che in queste religioni vi è la tendenza, più o meno forte, a distinguere i fratelli di fede dagli altri ovvero a distinguere tra coloro che non soltanto sono figli dell’unico Dio, ma riconoscono esplicitamente questa origine, e quelli che non la riconoscono. Questa distinzione, per un verso, appare un ostacolo a quella «fraternità aperta» di cui parla Papa Francesco all’inizio dell’Enciclica, ma per l’altro essa è un inevitabile e perenne esercizio di memoria del fondamento stesso della fraternità. Se la fraternità ha un fondamento religioso, chi non riconosce questo fondamento, può essere davvero e fino in fondo un fratello di chi lo riconosce?
D’altra parte, l’abbandono del fondamento religioso non garantisce affatto che si consegua il fine della fraternità aperta. Il concetto di "specie" non è forse troppo debole per sopportare il peso dell’impegno morale che, almeno nell’intendimento di Sartre, dovrebbe collegarsi a esso?
La difficoltà nel conseguire una fratellanza aperta e inclusiva è del resto confermata dall’applicazione di questo ideale alla politica. Nella Rivoluzione francese l’ideale della fratellanza ha caratterizzato il regime del Terrore, perché, come diceva Robespierre, «in un popolo libero, non ci sono che fratelli o nemici». “Fratellanza e unità” è stato il motto della Repubblica di Jugoslavia, dal cui crollo è scaturito uno dei più sanguinosi conflitti della recente storia europea. In un capitolo del suo libro Il pensiero negativo e la nuova destra, del 1983, Italo Mancini, commentando l’intervista a Sartre richiamata sopra, rifletteva sul senso e la possibilità di una «fraternità senza terrore». È al complesso delle questioni teoriche sollevate da questa suggestiva espressione che cercherà di rispondere il XXVIII Seminario di studi promosso dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Italo Mancini” di Urbino, in collaborazione con l’editrice Morcelliana. Il seminario, che si aprirà nel pomeriggio di venerdì 17 settembre, vedrà la partecipazione di numerosi studiosi che discuteranno quattro relazioni principali affidate a Antonio Maria Baggio, Francesco Botturi, Barbara Henry, e Stefano Semplici. Gli atti del seminario saranno pubblicati nell’annuario di filosofia e teologia “Hermeneutica”.