Seamus Heaney - Ansa/Marina Capuano
Non sempre l’incontro con un maestro avviene al principio del percorso. Può anche capitare che, dopo aver già fatto un buon tratto di strada, ci si imbatta in qualcuno capace di restituire il senso e perfino la destinazione di un viaggio che si sarebbe intrapreso comunque, ma che adesso si rivela tanto più necessario. Secondo Silvia Granata è quello che è successo nel rapporto fra Roberto Mussapi e Seamus Heaney: nel premio Nobel irlandese il poeta di Gita meridiana ha ritrovato molto di sé stesso, dalla volontà di tornare sul nucleo incandescente del mito classico alla capacità di spingersi ancora più lontano, raggiungendo le grotte e le torbiere dalle quali affiorano le memorie della preistoria.
Con felice intuizione Heaney è il primo degli autori esaminati in Compassione e mistero, la raccolta di saggi di Mussapi curata dalla stessa Granata per l’editore Algra (pagine 94, euro 10). Si tratta di un trittico niente affatto involontario, che insiste sui tre poeti ai quali Mussapi ha guardato con maggior continuità nella sua ormai lunga avventura intellettuale e artistica. Se l’omaggio a Heaney si colloca all’inizio, il pannello centrale è occupato dal magistero di Mario Luzi, mentre la parte finale è dedicata al francese Yves Bonnefoy. Di nuovo, la simmetria non è casuale. Heaney e Bonnefoy sono autori sui quali Mussapi ha molto lavorato anche come traduttore, e sono stati a loro volta traduttori eccellenti, così come lo è stato Luzi, col quale Mussapi condivide in maniera più immediata l’utilizzo del medesimo strumento linguistico (l’italiano, appunto), sempre però mediato dalla 'conversazione di voci' che appartiene in modo strutturale all’opera del traduttore.
Yves Bonnefoy - Giorgio Boato
Per quanto riguarda Bonnefoy, inoltre, andrà notato come l’attività di traduzione sia ampiamente valorizzata in un altro studio recente, La poesia, tra due mondi di Riccardo Bravi (prefazione di Alberto Fraccacreta, Aracne, pagine 90, euro 8), dove a essere messa in questione è anzitutto la funzione dell’immagine nel corpus del poeta francese, tra esercizio della critica d’arte e ripensamento della riflessione sull’oggetto caratteristica della temperie surrealista. Anche in questo contesto, gioca un ruolo rilevante la vastità dell’orizzonte culturale, linguistico e addirittura geografico, testimoniato da un libro come L’entroterra, nel quale è fondamentale la relazione che Bonnefoy instaura col paesaggio e con il lascito figurativo italiano. Un’immersione nel visibile, annota Bravi che diventa suprema scelta di adesione alla realtà, pienamente confermata dall’analisi del carteggio del poeta con lo scrittore Michel Butor e con l’artista Raoul Ubac. «La parola deve testimoniare l’essenza del vivente, rivelare il nucleo in cui la controversia arde nel proprio senso: essere fuoco», annota Mussapi in un passaggio di Compassione e mistero che, pur essendo riferito a Luzi, si adatta perfettamente anche a Heaney e a Bonnefoy, imponendosi come sintesi di una poetica sottoscritta e attuata dallo stesso Mussapi. Composti di materiali stratificati nel tempo, i capitoli che compongono il volume sono accomunati dal riproporsi delle categorie evocate già nel titolo, ovvero un sentimento di compassione universale e una percezione acutissima del mistero dell’essere. Sono elementi che si rispecchiano l’uno nell’altro, in una contemplazione dalla quale ha origine l’atto poetico. Mussapi procede per approfondimenti successivi, che lo portano spesso a soffermarsi proprio sul versante della traduzione, intesa come più compiuta forma di interpretazione.
Ecco dunque Heaney impegnato nella riscrittura dell’Orestea di Eschilo, a proposito della quale viene presa in esame la figura della sentinella ('scolta') con cui si apre l’Agamennone. Ed ecco Luzi alle prese con il Riccardo II shakespeariano, un personaggio la cui «scarnificazione» diventa per Mussapi «il correlativo drammatico del procedimento del poeta, del lavoro preliminare che costituisce il fare poetico, e prelude all’enunciato». Quanto a Bonnefoy, il principale termine di paragone è il mito di Zeusi, il pittore greco la cui abilità era tale da permettergli di dipingere un grappolo d’uva che gli stessi uccelli, ingannati dalla verosimiglianza, cercavano di beccare. Un’altra immagine, come quelle studiate da Bravi. E un’altra dimostrazione di come, scrive Mussapi, per Bonnefoy la poesia sia «la ghianda in cui si vede, molecolarmente, il bosco, ma anche il bosco in cui si intuisce la ghianda, l’origine».