giovedì 2 marzo 2017
Al via i Colloqui Fiorentini. Di Martino: «La sua denuncia non è mai fredda dimostrazione dell’assurdità del vivere, ma assume il carattere di una accorata partecipazione al dramma dei personaggi»
Luigi Pirandello (1867-1936) vinse il premio per la Letteratura nel 1934.

Luigi Pirandello (1867-1936) vinse il premio per la Letteratura nel 1934.

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Luigi Pirandello – Ora che il treno ha fischiato... è il tema della XVI edizione dei Colloqui Fiorentini – Nihil alienum, promossi da Diesse Firenze e Toscana. Da questa mattina a sabato 4 marzo 3.600 studenti e i loro docenti si ritroveranno alla Fortezza da Basso e al Palazzo dei Congressi di Firenze per ascoltare il parere degli esperti ma anche agire in prima persona con seminari e gruppi di lavoro. In particolare ad aprire il convegno, e a chiuderlo, sarà Gilberto Baroni, presidente di Diesse Firenze e Toscana. Interverranno nella giornata di oggi Carmine Di Martino (Università di Milano), sul tema della conoscenza, e lo scrittore e docente Alessandro D’Avenia, che leggerà passi scelti dalle novelle. Domani toccherà a Pietro Gibellini, docente di Ca’ Foscari a Venezia, che tratterà il tema della coscienza, e all’attore e regista Pietro Sarubbi, con un suo percorso di lettura di Sei personaggi in cerca d’autore. Sabato Pietro Baroni terrà la sintesi conclusiva, seguita dalla premiazione degli studenti che durante l’anno hanno prodotto i migliori lavori su Pirandello. (L.B.)


Dopo Ungaretti e il record di tremila studenti accorsi l’anno scorso da tutta Italia a Firenze per conoscere il poeta della Grande Guerra, tocca a Pirandello. E a un nuovo record: sono 3.600 gli studenti di 230 scuole superiori, in gran parte statali, che da oggi a sabato parteciperanno alla maratona letteraria organizzata da Diesse Firenze e Toscana, giunta alla XVI edizione con successo ogni volta crescente. «Sono qui soprattutto per riflettere le questioni che gli autori pongono a me: è un contributo interrogante il mio», commenta Carmine Di Martino, docente di Filosofia teoretica all’Università di Milano, già intervenuto gli anni scorsi su Manzoni e Verga. «Ma soprattutto, devo dire, ho imparato molto venendo qui nelle precedenti edizioni: cose come i Colloqui Fiorentini, con così tanti giovani pieni di curiosità, non sono ovvie né frequenti».

“Ora che il treno ha fischiato” è il titolo della tre giorni pirandelliana. Che messaggio lancia?

«È tratto dalla novella intitolata Il treno ha fischiato, di cui è la frase conclusiva. Quell’“Ora che…” lascia intravedere un seguito del fatto indicato dal titolo. Si racconta di un misero impiegato, Belluca, che conduce una vita così opprimente da non essere più vita. Ma quando una notte, per caso, ode il fischio di un treno che passa lontano, si accorge nuovamente che il mondo esiste: questo evento gli permette di udire suoni di cui non s’accorgeva più, di “prendere una boccata d’aria nel mondo”. Da quel momento la sua vita non potrà più essere come prima, poiché, scrive Pirandello, ora il mondo gli è “rientrato nello spirito”. È uno di quegli spiragli di positività che attraversano qua e là la sua opera».

“Ma voi, insomma, si può sapere chi siete?” è il titolo invece del suo intervento. Come si addentra nell’autore del “così è se vi pare” e dell’identità che si frantuma tra “uno nessuno e centomila”?

«“Ma voi, insomma, si può sapere chi siete?” è, come si vede, una domanda sulla conoscenza, posta al protagonista del Fu Mattia Pascal nelle ultime battute del romanzo. L’interrogato si stringe nelle spalle, socchiude gli occhi e non può dare una risposta veramente dotata di senso. Dice solo: “Eh, caro mio… Io sono il fu Mattia Pascal”, mostrando nel paradosso della risposta l’insensatezza della propria esistenza. Concluse le sue peripezie, fallito il sogno di liberarsi dallo sguardo degli altri, non sa dire chi sia. Fin dalle opere dei primi del ’900 Pirandello denuncia l’impossibilità della conoscenza: la realtà è trasformazione continua, è caos, ed è priva di senso; l’io è diviso, spezzettato, disperso in una molteplicità non componibile di maschere. Una diagnosi che s’intona al pensiero di molti scrittori e filosofi a lui contemporanei. D’altra parte, però, ed è questa la forza vitale di certa letteratura, la sua denuncia non procede mai nei termini di una fredda dimostrazione dell’inconsistenza del reale e della assurdità del vivere: essa assume il carattere di una accorata partecipazione al dramma espresso dai personaggi, e il suo tono è casomai quello dell’acceso polemista, non dell’osservatore distaccato. Quasi a dire che la vita stessa – oltre le nostre teorie – non sa esser nichilista né scettica o relativista. Con la sua scrittura, mentre ci mostra attraverso innumerevoli sfaccettature la validità inconfutabile della sua visione, resta e ci fa restare attaccati alla vita, quasi alla ricerca di eccezioni che smentiscano quella validità».

Cosa può dare ai giovani oggi?

«C’è molta attualità in Pirandello. Le situazioni dei suoi personaggi sono diverse per tanti aspetti dalle nostre, la sua attenzione è puntata più sul mondo degli adulti che su quello dei giovani, ma le questioni che solleva sono profondamente pertinenti al nostro vivere: in che cosa consiste la libertà? Di che cosa è fatta la nostra identità? Che cosa significa e come è possibile vivere una vita autentica? Come i rapporti possono essere una risorsa e non una gabbia? Quali rischi comporta per l’uomo l’immensa proliferazione di tecnologie e protesi cui oggi assistiamo? Attuale è anche la lettura pirandelliana di una serie di dinamiche interne ed esterne rispetto al soggetto: il senso della precarietà e della disgregazione, l’avvertimento del vuoto e dell’insensatezza, ma anche la cancellazione dell’individua-lità, l’indebolimento del desiderio, nell’imperare sempre più capillarmente intrusivo di convenzioni e schemi di vita. Insomma, un autore è vivo quando ci pone le questioni cruciali e ci costringe a un sussulto di consapevolezza, ci invita a prendere posizione».

Proporre il relativismo di Pirandello, in un’epoca in cui già tutto sfuma e la società è liquida come mai prima d’oggi, può essere un rischio?

«Non credo. E, d’altra parte, possiamo pensare di proporre solo gli autori che trasmettono valori positivi, o da noi ritenuti tali? Non si può essere ideologici. La risposta al vuoto non sono letture edificanti e selezionate, ma incontri umani significativi, magari con un professore che si misura con gli autori che pongono le questioni urgenti, gli interrogativi scomodi, senza fuggire, con una posizione umanamente affascinante. Pirandello ci aiuta a prendere atto dei problemi che non possiamo non affrontare».

Tra umorismo e dramma, c’è una profonda morale in Pirandello.

«Si concepisce come scrittore umorista, portato a leggere gli aspetti di dissonanza nell’esperienza propria e degli altri, con uno sguardo tale da indurre al riso e al pianto insieme. Nel suo sguardo c’è una presa in carico del dramma del vivere che è di una serietà assoluta: è infatti l’esperienza umana con tutta la sua problematicità, le sue contraddizioni, la sua esigenza di senso, a essere assunta e scandagliata».

La sua pietà per gli ultimi ha una lettura attuale?

«Che cosa vuol dire pietà per gli ultimi, oggi? Si è “ultimi” in molti sensi: la povertà materiale o l’esclusione non sono le sole caratteristiche dell’essere “ultimi”. Anche il nulla di senso in cui versano molti giovani è una condizione che rende “ultimi”, cioè sofferenti, poveri, sebbene in modo diverso. Ma certo oggi non si può ignorare quel fiume di “ultimi” che sono i migranti, in cui si incarnano drammaticamente povertà, misconoscimento, esclusione. Che cosa vuol dire avere pietà per gli ultimi? Bisognerebbe dire qui le parole dell’umano: ospitalità, accoglienza, perciò vera integrazione, e insieme responsabilità, nella considerazione delle condizioni reali, nel rispetto delle esigenze degli uni (ospitanti) e degli altri (ospitati), ai vari livelli, senza utopismi e al tempo stesso senza egoismi preconcetti e preventivi. Sono le cose di cui parla con coraggio e tenacia papa Francesco».

Pirandello esce dal mondo con appello disperato: fatemi un funerale povero e poi bruciatemi. È tutto disperazione, dunque? O c’è qualcosa di cristiano in lui?

«Pirandello non ha una posizione religiosa, incompatibile del resto con la sua visione della vita. Tuttavia, quello sguardo “pietoso” sull’uomo, che Pirandello afferma esser necessario all’umorista, e che effettivamente mette in scena, non è caduto dal cielo già fatto, ha le sue radici nella storia, ha una fonte determinata e nota».

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