«Sarebbe interessante trascorrere una giornata con il Papa, in Vaticano, ma con la videocamera visibile. Mi sono scocciato delle telecamere nascoste come alle Iene ». Pif, all’anagrafe Pierfrancesco Diliberto da Palermo, classe 1972, è tornato, videocamerina alla mano, ad essere Il testimone di storie curiose e realtà inesplorate, che racconterà in modo ironico ma tutt’altro che superficiale con la solita aria finto-svagata. Un programma nato in sordina su Mtv Italia dieci anni fa, cresciuto in popolarità e ora trasmigrato, dopo l’acquisizione del canale musicale da parte di Sky, sulla rete in chiaro Tv8 (tasto 8 del digitale terrestre), ogni venerdì alle 23.15 per dieci puntate. In cui Pif racconterà in prima persona il mondo degli arbitri, passando dalla serie A alle categorie minori, il neo immaginario popolare di Instagram, l’America kitsch di Las Vegas e Miami ma anche la ricerca della felicità in due puntate speciali sul Buthan. Solo che in questi dieci anni Pierfrancesco è cresciuto, eccome, nel mondo del cinema con il successo del film La mafia uccide solo d’estate, David di Donatello e Nastro d’argento nel 2014 come miglior regista esordiente, da cui è derivata l’omonima fiction di successo per Raiuno. Sino al recente In guerra per amore film ambientato durante il secondo conflitto mondiale.
Pierfrancesco, perché, nonostante il salto nella serie A del cinema e della fiction, lei torna con un programma d’inchiesta minimale come “Il testimone”?
«Perché è un programma che mi assomiglia al 95% e me lo terrò sempre stretto. Io sono un uomo medio con la curiosità dell’uomo medio. Voglio dimostrare che per me nulla è cambiato, che sono sempre io, uno che vuole raccontare la verità. Utilizzare dei mezzi “poveri” spesso stimola la creatività. Se hai qualcosa da raccontare basta anche una piccola videocamera per realizzare un buon programma».
E con quella vorrebbe entrare anche in Vaticano? E se il Papa la chiamasse davvero?
«Lui sarebbe anche capace di farlo. E io sarei l’uomo più emozionato del mondo. Abito a Roma vicino al Vaticano, e tutti ci chiediamo come è fatto questo mondo che nessuno conosce. Farei un reportage con l’occhio infantile di chi si chiede che cosa c’è al di là di quel muro, a partire dalla mitica farmacia, sino a capire come è strutturato questo microstato dentro Roma. Farebbe anche del bene perché sarebbe sorta operazione trasparenza. I problemi del Vaticano li conosciamo, io vorrei invece raccontarlo in modo normale, rendendolo più umano».
E al Papa cosa chiederebbe?
«Mi piacerebbe fare come ho fatto con Saviano, che non può più andare nei luoghi dove è cresciuto. Il Papa credo che abbia lo stesso problema, difficilmente potrà tornare a mangiare nel suo luogo preferito a Buenos Aires, o salutare la vecchietta sotto casa. Lui mi dice cosa vuole rivedere in Argentina e io ci vado con la videocamera. Lo renderebbe ulteriormente umano, anche se non ne ha bisogno. Ma un’altra idea ce l’ho...»
Ha in cantiere un nuovo film?
«A giugno inizierò a lavorare a un nuovo film. Ho tre idee, e una è di affrontare il mondo della religione e della Chiesa cattolica. In pratica mi pongo delle domande banali e sono le stesse che farei a papa Francesco».
La popolarità ha cambiato l’approccio del suo lavoro?
«La popolarità è positiva, ma ha reso più faticoso il lavoro del testimone. Diciamo che è diventata un po’ ingombrante, perché quando la gente mi riconosce rischia di falsare le cose davanti alle telecamere. Il testi-monesembra leggero, ma è faticoso, perché giro tantissimo, 18 ore di girato per 45 minuti. Devo rivedermi tutto, lasciarlo decantare, rifletterci su. E siamo solo in due nella produzione mentre per un film siamo in 70: per fare una serie intera impiego un anno. Ma, lo ripeto, tento di raccontare la verità».
Forse perché nel bombardamento di informazioni cui siamo sottoposti è difficile capire dove sta?
«L’ho detto anche al Meeting dei Giovani ad Amatrice, ai primi di gennaio, dove mi ha invitato monsignor Pompili. Credo nella verità, anche se ti complica un po’ la vita. C’è modo e maniera di dirla, ma alla lunga paga. Quando ero piccolo a Palermo, i giornali scrivevano delle cose e io ne vedevo delle altre. Quando è toccato a me, ho deciso di raccontare quello che ho visto».
Come è stato l’incontro coi ragazzi nei luoghi ancora oggi martoriati dal terremoto?
«Avevo una grande curiosità di ascoltare. Ciò che hanno vissuto questi giovani è una prova enorme. Da loro ho solo da imparare. La mia videocamera sui luoghi del terremoto? Sarei stato l’ennesimo pseudo-giornalista che va lì a chiedere cosa si prova. Raccontare quei luoghi è giusto, ma c’è anche gente che la tragedia la sta vivendo sulla pelle, meno si disturba meglio è»
Lei, fra cinema e televisione, questa resistenza degli italiani, anche se con tocco ironico, la racconta.
«L’Italia è una resistenza continua, va avanti grazie a persone di buona volontà che si sostuiscono alle istituzioni. Basi pensare ai volontari che fanno i turni sulle ambulanze di notte: se non ci fossero loro, non avremmo più il servizio. Tante volte il volontariato sostituisce il servizio dello stato, e quante volte la Chiesa e l’oratorio fanno da ammortizzatori sociali. È un bene, certo, ma non dovrebbe essere così».
A proposito, lei ha frequentato l’oratorio?
«Certo, l’oratorio Don Bosco - Ranchibile di Palermo, dove ho fatto tutte le scuole. O, per meglio dire, dove sono stato buttato fuori al liceo per scarso rendimento. Don Bosco, sono certo, non mi avrebbe cacciato, però devo dire che ci ho messo molto del mio...».
Lei è figlio del regista Maurizio Diliberto: c’è stato un passaggio di testimone?
«Mio padre mi ha solo detto: dimmi cosa vuoi fare da grande e io ti aiuterò a farlo. Ma non mi ha mai spinto verso questo lavoro che è molto più precario di quanto si immagini. Anche andare in video non era nei miei programmi. Qualunque cosa io faccia ho una prospettiva più autoriale che spero mi salverà dal mio ego».
Tornerà nella sua Sicilia?
«Ho una gran voglia di ritornare a Palermo. Il mio vero obiettivo è avere una villa a Mondello, altroché Saint Tropez. Resterò sempre legato alla mia terra, alle mie radici. Ma è arrivato il momento di puntarsi il dito addosso e non solo verso il politico. Cerchiamo di capire quanto noi contribuiamo ai problemi della città. Certi politici, qualcuno li voterà pure...».