Per avvicinare i suoi coetanei alla musica usa Facebook e Twitter, «perché è giusto che parli il linguaggio del mio tempo e usi gli strumenti che la tecnologia mi offre anche se sul leggio ho Mozart e Beethoven». Beatrice Rana, classe 1993, non si ferma qui, però. «Invito spesso gli amici ai miei concerti. E ogni volta la preoccupazione è la stessa: l’abito da mettere, la difficoltà dell’ascolto… Mi sento sempre quel ritornello di pregiudizi sulla musica. Non del tutto infondati, intendiamoci, perché spesso la classica la si fa subire ai ragazzi anziché proporla loro in un modo intelligente, preparandoli in modo adeguato a quello che ascolteranno». Ecco perché la pianista ventiduenne di Copertino è sempre disponibile «ad aprire le prove, ad incontrare i ragazzi per raccontare quanto è bella la musica, ma soprattutto per costruire il pubblico di domani. Un problema che in Italia, però, non ci si pone perché si guarda solo al presente, se non al passato. In questo mi sento una goccia nel mare perché il cambiamento vero deve venire dalle istituzioni», racconta mentre esce il suo primo disco, inciso per Warner classics. «Affronto il
Concerto n.2 in sol minore di Prokef’ev e il
Concerto n.1 in si bemolle minore di Cajkovskij, due pagine che da tempo ho in repertorio, che ho portato ai concorsi e che in qualche modo mi hanno cambiato la vita perché mi hanno confermato che la musica era la strada giusta per me. Certo, affrontarli diretta da Antonio Pappano e al fianco dell’Accademia di Santa Cecilia, mi ha permesso di approfondirli, di rileggerli sotto una nuova luce». Pagine note. Incise dai più grandi. «Ma ogni artista – spiega – ha una sua sensibilità che è unica. E per quanto una pagina sia già stata proposta dagli interpreti di ieri e di oggi è sempre interessante da riascoltare, perché un’incisione non sarà mai uguale ad un’altra». Una passione, quella per la musica, nata in famiglia. «I miei genitori sono entrambi pianisti ed insegnanti. Li ho sempre visti suonare e insegnare a tanti bambini che venivano a casa nostra a prendere lezioni». La prima volta al pianoforte a due anni. «Con papà suonavo a quattro mani le colonne sonore dei cartoni animati Disney che vedevo in tv, da
Bambi al
Re leone. I miei così hanno notato che avevo orecchio e hanno deciso di mandarmi a scuola. Non certo da loro, però. E questo è stato un bene: con i miei discuto di musica, ci confrontiamo, ma un genitore deve essere un conforto per i figli nei momenti di difficoltà e se loro fossero stati anche i miei insegnanti da chi mi sarei potuta rifugiare quando avevo bisogno di sfogarmi?», sorride Beatrice, che poi racconta come per lei il pianoforte sia sempre stato «una sorta di rifugio, un amico con il quale confidarmi e sfogarmi. Uno strumento attraverso il quale dire anche qualcosa di me. Che ho da sempre avuto a disposizione e che mi è venuto naturale usare perché era lì in casa. La musica poteva essere una delle possibilità per il mio futuro. E l’ho scelta». A sedici anni il diploma in pianoforte a Monopoli con Benedetto Lupo. Nel 2011 il primo premio al Concorso di Montréal e nel 2013 la medaglia d’argento al Concorso Van Cliburn. E subito le grandi sale da concerto, la Tonhalle di Zurigo e la Wigmore hall di Londra sino alla Scala di Milano. «Ma la mia vita non è cambiata nonostante il successo. Anche se la parola successo nell’ambito della musica classica è un po’ troppo impegnativa, a volte persino esagerata. Io mi ritengo fortunata è di fare quello che mi piace: suonare con musicisti di tutto il mondo». Nessuna rinuncia e nessun sacrificio troppo grosso. «All’inizio la musica per me era un gioco e per questo non l’ho mai vissuta come un peso o un’imposizione. Non sono mai stata una che studiava tanto, giusto il necessario. E non ho mai rinunciato a niente essendo sempre una ragazza immersa nel mondo. Questo è importante perché un musicista non deve perdere il contatto con la realtà». Una passione per le scienze, «in particolare per l’astronomia, tanto che da piccola mi facevo regalare libri che raccontavano di stelle e pianeti». Oggi gira il mondo. «Quando sono in tournée mi piace conoscere le città dove mi trovo. Magari ascoltando musica. Nel mio iPod c’è di tutto. Ma quando mi voglio rilassarmi la “musica” che mi piace di più è la voce dei miei genitori e dei miei amici».