L'eclissi marziana dello scorso 8 febbraio 2024 - Nasa
L’eclissi lunare che ha interessato Marte lo scorso 8 febbraio ha un qualcosa di familiare, per certi aspetti, a quelle che si osservano dalla Terra e che interessano la nostra Luna e il Sole. Ovvero trasmette a chi la vede la “fascinazione per le stelle”. Phobos, con la sua forma irregolare e il suo destino già segnato (entro 50 milioni di anni precipiterà in modo catastrofico su Marte tanto da generare con i suoi detriti intorno al pianeta rosso un anello analogo a quello di Giove e Saturno) è stato visto transitare davanti al Sole dal rover Perseverance della Nasa, che in quel momento si trovava in servizio nel cratere Jezero di Marte. Le dimensioni e la forma di Phobos (pressappoco di 27 × 22 × 18 chilometri, cui corrisponde un diametro medio di 22,2 km e un volume di 5 729 km cubici) non permettono alla luna di Marte di coprire completamente la nostra stella ma oscura solo una porzione della luce solare che arriva sul pianeta rosso. L'effetto è originale: il Sole sembra diventare un grande occhio.
Phobos e il "satellite minore" Deimos (che ha dimensioni 7,5 x 6,1 x 5,5 km) furono scoperti nel 1877 da Asaph Hall e prendono il nome dalle parole greche "Paura" e "Terrore". La loro origine non è chiara: potrebbero essere corpi celesti catturati dalla gravità di Marte o detriti del pianeta stesso, espulsi da un gigantesco impatto alla nascita del sistema solare. E per svelare i misteri sull’origine di Phobos, l’agenzia spaziale giapponese ha in agenda per il 2026 una missione sulla luna di marte. L’idea è quella prelevare dei campioni di suolo, per poi riportarli a Terra per delle analisi accurate, così da capirle le vere origini geologiche di questa Luna.
Origini su cui si continua ad indagare anche per Marte. Oltre 3,5 miliardi di anni fa, quando era ancora giovane, Marte era un pianeta vulcanico: lo suggeriscono le tracce di almeno 63 vulcani, che potrebbero essere molti di più, trovate nel suo emisfero meridionale grazie ai dati raccolti da diverse sonde della Nasa come Mars Global Surveyor, operativa dal 1996 al 2007, Mars Odyssey, lanciata nel 2001 e che potrebbe avere combustile sufficiente fino al 2025, e Mars Reconnaissance Orbiter, in orbita attorno al Pianeta Rosso dal 2005. L'analisi, pubblicata sulla rivista Nature Astronomy dal gruppo di ricerca guidato dall'Università di Hong Kong, ipotizza che l'intensa attività vulcanica di Marte potrebbe aver creato nel passato un ambiente favorevole alla nascita della vita. Contrariamente alla Terra, il Marte di oggi è privo di attività vulcanica e tettonica e quasi la metà della sua superficie ha più di 3,5 miliardi di anni: ciò significa che da allora il materiale che forma la crosta superficiale non è stato alterato da fenomeni simili a quelli che avvengono sulla Terra.
Com'è il suolo marziano oggi in una foto raccolta dal rover Pathfinder della Nasa - Nasa
Recenti scoperte, però, suggeriscono che non è sempre stato così e dunque i ricercatori guidati da Joseph Michalski sono andati alla ricerca di ulteriori prove, studiando la morfologia della zona di Eridania, nell'emisfero Sud. Grazie ai dati raccolti dalle sonde che hanno osservato e che continuano ad osservare la superficie marziana, gli autori dello studio hanno identificato tracce di 63 vulcani appartenenti a quattro tipologie diverse, tra cui i vulcani a cono (o stratovulcani), dei quali il Vesuvio è un esempio, e i vulcani a scudo, più bassi e larghi, a cui appartengono alcuni dei più grandi tra quelli terrestri. Ma ci sono indizi che i vulcani presenti in questa zona potrebbero essere centinaia, residui di un'attività vulcanica molto intensa che ha caratterizzato la giovinezza di Marte, subito dopo la sua formazione.