martedì 20 luglio 2021
Essere visti nella propria fragilità da uno sguardo puro e incondizionato disarma anche i più ostili, come dimostrano le storie di Paolo, Francesco e Agostino
Caravaggio, “Maddalena penitente” (1594-1595). Roma, Galleria Doria Pamphilj

Caravaggio, “Maddalena penitente” (1594-1595). Roma, Galleria Doria Pamphilj - archivio

COMMENTA E CONDIVIDI

Esce da Morcelliana il libro di Arnoldo Mosca Mondadori intitolato Cristo ovunque (pagine 82, euro 10,00) da cui anticipiamo alcune pagine. L’autore ha pubblicato vari saggi con l’editrice bresciana, fra i quali: Cristo nelle costellazioni (2012) e La lenta agonia della Beatitudine (2013); mentre nel 2019 da Scholé è uscito Il farmaco dell’Immortalità. Dialogo sulla vita e l’Eucaristia (con M. Mondo).

Avere lo sguardo di Gesù. Vedere nell’altro le sue debolezze e amarlo lì. Avere questo sguardo verso l’altro. Lo sguardo di giudizio è l’opposto dello sguardo di Gesù. San Paolo lo dice nel suo Inno all’Amore: l’amore tutto giustifica. Sì, perché lo sguardo d’amore vede l’altro a partire dalle sue possibili debolezze e ferite. Cerca sempre un motivo anche delle sue azioni più fastidiose. Non giudica mai. Cerca di capire. Uno sguardo pieno di bene e di benevolenza. Trova sempre un motivo per comprendere anche ciò che è cattivo. La cattiveria nasce da una fragilità, sempre da una ferita. Lo sguardo di Gesù cerca quella ferita e va vicino a essa. Amore di Gesù per ciascun essere umano. Per questo Gesù risveglia Saulo, che diventa san Paolo e poi risveglia Francesco, che diventa san Francesco. Il primo era un carnefice, il secondo viveva in modo dissoluto e così anche sant’Agostino e tanti altri santi che Gesù guardò nelle loro ferite. Solo per citare l’ambito della storia cristiana, ma il discorso vuole comprendere l’umano nella sua totalità, a prescindere dalla religione. Ecco, sentirsi guardati nelle proprie ferite. È quello che provoca Gesù nelle persone che guarda. Esse si convertono perché lui con il suo sguardo va dentro le loro ferite, dentro le loro fragilità più grandi, dove lo sguardo invece di solito giudica sempre. Ma Gesù fissa quel punto come il punto più amato, e provoca la commozione. Essere guardati nella propria fragilità da uno sguardo di amore puro e incondizionato… se ci si accorge di questo sguardo allora si viene disarmati. E scoppia il pianto (la notte dell’Innominato e passo sulle lacrime del mistico russo – il dono delle lacrime e della conversione – Silvano del Monte Athos). Le lacrime dopo essere stati guardati con tenerezza divina nel centro del pro- prio limite, là dove alzavamo le nostre difese. Ma Gesù continua a fissare quel punto e con il fuoco dei suoi occhi d’amore abbatte come una fiamma ossidrica ogni muro e va nelle profondità: Lui vuole abitare il nostro dolore, il nostro buio, il nostro inferno: da lì vuole salvarci. «Lo fissò e lo amò» si dice nei Vangeli… Lo “fissò”: ecco lo sguardo di Gesù che è come una fiamma che vuole arrivare là dove può crollare il castello delle nostre false certezze, perché ognuno di noi, difendendosi per la paura di essere scoperto nel proprio limite, costruisce un personaggio. Invece Gesù cerca, guardando, di far nascere la persona, quindi smaschera sempre, ma non lo fa giudicando, ma amando. Lo sguardo di Gesù è lo sguardo più bello che si possa avere. Non ha paura di nulla, non teme di stare con nessuno, ma ama, e ama fino alla morte, fino a guardare i suoi assassini e a chiedere al Padre di perdonarli: «perché non sanno quello che fanno»; ecco che Gesù giustifica anche l’assassino, cerca in lui il motivo della sua debolezza, trova la sua debolezza e vede che chi lo sta uccidendo non ne è consapevole. Comprende. E comprende mentre la sua sofferenza è ad un livello inimmaginabile: vuol dire che l’amore sempre può esserci, vuol dire che lo sguardo d’amore, la capacità di amare è più for- te di ogni altra cosa. E così quella forza dell’amore non può finire, non si può spegnere. Il fuoco degli occhi di Gesù non può spegnersi. Ecco: il fuoco, quel fuoco con cui guardava, il Suo Spirito, rimane, e quando muore incendia tutte le cose, le guarda tutte, una ad una. Lo sguardo del Padre nel Figlio è quello del Figlio per ogni figlio. Il Fuoco non può essere fermato: conquista tutto, come una tempesta. Nessuno può fermare l’amore («Lo Spirito soffia dove vuole»), lo stesso amore che ha creato tutto ora vuole tutto salvare. E Gesù rimane qui, sulla terra, con il mistero dello Spirito, con il mistero del suo essere presente in noi, nelle nostre ferite, con il mistero dell’Eucaristia, nel Vangelo. Egli ama così tanto l’uomo da non potersi separare da lui: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». In Cristo si rivela l’amore infinito del Padre per i suoi figli, per ciascuno di essi. Gesù è trasparenza di quello sguardo e attraverso i suoi occhi Dio ama. Attraverso i suoi occhi Dio salva tutta la creazione. Il cristianesimo non è una religione ma è la rivelazione della metamorfosi dell’umanità, che viene generata di nuovo dal Crocifisso vivente. La Sua compassione è così impressionante da sconvolgere ogni categoria della logica. Lui è presente nell’uomo che viene ingiustamente ucciso e nell’uomo che uccide. Perché anche l’uomo che uccide ha una fragilità che forse nemmeno conosce. Tutto vuole salvare. Così era dentro la ferita di Saulo, quando torturava i cristiani e li costringeva a bestemmiare e li uccideva. «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?»… e Saulo vide in se stesso quel misterioso Cristo, a Saulo apparve il mistero della salvezza. Proprio a lui, l’assassino. Cristo vuole essere rivelato da colui che lo stava uccidendo. Egli è salito a Gerusalemme sulla croce dove stava l’assassino, il delinquente, il ladro, il condannato… Lui sta ora, in ogni attimo del tempo, sulla croce dove sta l’assassino, il ladro, il condannato per qualsiasi crimine, colui che ha sbagliato («si è fatto peccato»…). È proprio nella fragilità che è la forza (san Paolo: «...Ti basta la mia grazia: la forza si manifesta pienamente nella debolezza »). Mentre noi vogliamo fuggire dalla nostra paura, dalla nostra angoscia, dai nostri terrori, dalle nostre ferite. Ma proprio lì, dal luogo da cui vogliamo fuggire, si nasconde qualcosa di meraviglioso, una risposta. È dentro la fragilità la risposta, non è fuori.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: