Il tamburo de El Tula accompagna la grande festa del calcio nella città del Papa. È una giornata particolare in Vaticano, forse unica quanto una finale di Coppa del Mondo: le nazionali di Italia e Argentina (6 titoli mondiali in due) sono state convocate in udienza privata da Papa Francesco prima della partita organizzata in suo onore, stasera allo stadio Olimpico di Roma. Le squadre salgono le scale del Palazzo Apostolico, in un silenzio irreale. C’è un’emozione palpabile che, nessun derby incendiario della Bombonera di Buenos Aires o un match-scudetto alla Scala del calcio di San Siro, mai potrebbe suscitare in questi piccoli eroi della domenica. Per un giorno tatuaggi coperti sotto eleganti divise griffate d’ordinanza che sciamano davanti alle guardie svizzere. Orecchini meno vistosi per questa meglio gioventù del pallone internazionale, da contratto sempre più star e uomini copertina ad ogni costo, un po’ gladiatori e un po’ lavoratori privilegiati della zolla, ma agli occhi di papa Francesco soltanto dei ragazzi. «Voi siete dei giovani che dovete essere punto di riferimento per gli altri giovani e modello di valori incarnati nella vita. Siate uomini prima che campioni». Esordisce così il Papa che intende far sentire al mondo del calcio il suo autentico “spirito-tifoso”. Quella passione cominciata in famiglia (la madre è una Sivori, parente del grande Omar juventino) e poi giocando per le strade del barro Flores in calle Membrillar. «Forse in una di quelle partite lo ho avuto come compagno o come avversario, chissà?», ha ricordato recentemente la grande anima del Real Madrid anni ’60, l’argentino Alfredo Di Stefano. Manca solo la maglia di Di Stefano sulla panca dei doni portati dal calcio italo-argentino, per il resto ci sono davvero tutte, tra un tripudio di sciarpe, lettere autografe e foto. Tra le tante spicca il poster incorniciato di Renè Pontoni, bomber del San Lorenzo de Almagro, l’idolo di gioventù di Papa Bergoglio. «Io non so per chi fare il tifo domani (stasera, ndr)… – sorride –. Ma vedremo se qualcuno di voi avrà il coraggio di segnare un gol come quello di Pontoni», dice divertito il Santo Padre che ricorda il suo amore per il calcio, nato sui gradoni del vecchio stadio Gasometro dove «chico, si andava a vedere le partite del San Lorenzo de Almagro con papà, mamma e i fratelli. Perché allo stadio un tempo si andava in famiglia. E allora dobbiamo fare in modo che non ci sia più violenza e riportare le famiglie negli stadi». Appello lanciato in italiano e in spagnolo e con quelle sfumature d’argentino che emozionano i tanti connazionali al seguito della Seleccion del ct Sabella e del presidente della federcalcio Grondona che abbraccia il collega Giancarlo Abete. Il numero uno della Figc esprime al Pontefice «emozione e gratitudine», parlando da «ex allievo dei gesuiti e in rappresentanza di un mondo che tra uomini e donne ha un milione e mezzo di tesserati, 70 mila squadre dal professionismo ai dilettanti fino ai nostri ragazzi del settore giovanile». Ed è da questa Repubblica fondata sul pallone e dalle sue giovani speranze che arriva tra le mani del Papa un ulivo che vuole essere simbolo di pace a partire da uno stadio. «Il calcio è anche un grande business – continua il Papa – ma voi dovete lavorare perché non perda mai il carattere sportivo. Dovete fare in modo di promuovere l’atteggiamento del dilettante. Lo spirito dell’amateur è quello che elimina definitivamente il pericolo della discriminazione. Se sparisce la violenza, torneranno le famiglie allo stadio». El Tula, il tamburino che accompagna tutte le partite della Seleccion fa partire un’altra rullata, seguito dall’applauso dei dirigenti delle squadre della massima serie argentina. Tra di loro, il vicepresidente del San Lorenzo, Marcelo Tinelli, venuto per consegnare direttamente la tessera annuale n. 88.235, quella del “primo tifoso” Jorge Mario Bergoglio. «Il Papa paga regolarmente i 120 pesos della nostra tessera di socio-abbonato e non manca mai di telefonarci per sapere i risultati del San Lorenzo», racconta Tinelli che non perde una parola del discorso del Papa-tifoso che riesce a strappare un sorriso persino a Mario Balotelli. Per un giorno il Mario nazionale si sente meno “super-osservato” e anche meno ingestibile, perché il più “indisciplinato” della Sala Clementina si autoproclama papa Francesco. «Qui in Vaticano mi rimproverano che sono indisciplinato. Ma avete visto gli argentini come sono venuti a salutarmi? (Confusamente come in una mischia di rugby dei Pumas, ndr)… Gli italiani, invece, tutti composti, educati, in fila. Ecco, oggi avete capito da quale razza provengo». Una risata generale che diventa un boato, come dopo un gol allo stadio. Poi, lo scambio dei doni, le strette di mano calorose e il saluto affettuoso del “Papa degli abbracci” che benedice i ragazzi delle due nazionali. Il Papa promette che pregherà per loro, ma chiede un ultimo regalo: «Pregate per me, perché anche io nel campo in cui Dio mi ha posto possa giocare una partita coraggiosa per il bene di tutti». Messi e Buffon si inchinano, a Prandelli luccicano gli occhi mentre consegna la maglia azzurra. Il Papa saluta e se ne va. Ma un attimo prima che la porta del corridoio privato si richiuda, Balotelli con uno scatto dei suoi riesce a raggiungere il Papa per due minuti di udienza privatissima. Quando esce Mario ha il sorriso di un bambino felice. E allora pensi che ancora una volta il “miracolo” narrato da un grande amico e scrittore preferito di papa Francesco, Jorge Luis Borges, si è compiuto ancora: «Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio…».